Se persino la canzone più trasmessa in tutte le radio e con più di nove milioni di visualizzazioni sul web ripete “come posso io, non celebrarti vita”, è segno che in un mondo che nelle sceneggiature dà sempre più spazio alla distopia, non fa più nascere bambini e, a dar retta ai sondaggi, soffre di un vistoso calo di fiducia nel futuro, la vita rappresenta ancora quell’istinto primigenio che ci fa allargare i polmoni ogni mattina e cantare.
“Il Vangelo della vita è gioia per il mondo”, ci ricordano i Vescovi nel Messaggio del Consiglio episcopale permanente della Cei per la 40° Giornata nazionale per la vita che si celebra come ogni anno la prima domenica di febbraio (quest’anno il 4). Un appuntamento prezioso per rafforzare e, in qualche caso, sviluppare quella sensibilità e attenzione alla promozione della bellezza della vita.
Nella nostra diocesi, domenica 4 febbraio, alle 11:00, presso la Basilica Cattedrale Madonna della Marina, il Vescovo di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani, presiederà la solenne celebrazione Eucaristica.
Il testo del Messaggio parte con un’affermazione luminosa quanto impegnativa: “La gioia che il Vangelo della vita può testimoniare al mondo, è dono di Dio e compito affidato all’uomo; dono di Dio in quanto legato alla stessa rivelazione cristiana, compito poiché ne richiede la responsabilità”.
Quante parole potenti e dense di significato in questa frase che, parlando di vita e Vangelo, mette insieme la gioia, la testimonianza, il dono, la responsabilità. Di ciascuna di esse facciamo esperienza e le decliniamo nel nostro vivere e nell’accogliere la vita.
A ben vedere, tanto per cominciare, gioia è termine ben più forte del troppo consumato “felicità”, cui troppi invitano ad un astratto perseguimento. La gioia è un sentimento forte e travolgente, che nasce da una condivisione, quindi dalla relazione, dall’incontro. Il cuore “sobbalza” per la gioia, emozione attiva che ci coinvolge nel momento in cui facciamo qualcosa “con” e “per” qualcun altro. E ci aiuta anche, nell’epoca delle fake news, a distinguere ciò che è autentico. Infatti, non ci arriva vera gioia dal possedere cose o persone. Il possesso genera soltanto una sorta di gratificazione effimera che ci fa chiedere subito una nuova assunzione di stimolanti, un nuovo diverso possesso. È “la cultura della tristezza e dell’individualismo, che mina le basi di ogni relazione”. Invece la gioia relazionale ha di suo un elemento straordinario che non ci lascia mai svuotati o inariditi: si può donare senza perderne una goccia, anzi, già dall’atto del dono, si moltiplica. Ecco che dono e gioia vanno insieme, tenendosi per mano uno a fianco dell’altra, coppia feconda e accogliente.
Grazie alle centinaia di volontari che in tutta Italia e in tutte le Diocesi si spendono per moltiplicare le iniziative legate alla celebrazione di questa Giornata, sappiamo che dono e gioia si accompagnano sempre alla testimonianza. “Punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità”, scrivono i Vescovi. E come testimoniare meglio la gioia che spartendola? Questo tesoro ben strano davvero, che tanto più si accresce quanto maggiormente si divide. Ma è un patrimonio che è dono che, a nostra volta, ci è stato trasmesso e affidato e porta in sé la categoria della responsabilità. Ora, tutti ricordano il film di animazione “Kung Fu Panda”. In una scena sempre molto citata e fatta “meme”, il maestro tartaruga Oogway dice all’allievo Po: “Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente”. Frase suggestiva, divenuta un mantra per molti, ma che lascia invece un senso di irrisolto: a godere del qui e ora, concentrandosi sul presente, dando per lasciato il passato e non curandosi del futuro, non si costruisce nulla.
Non solo. Nel Messaggio si legge: “Punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità”. E cosa c’è di più autoreferenziale che guardare al piccolo orto chiuso del proprio oggi? Il discepolo del vero Maestro invece “mentre impara a confrontarsi continuamente con le asprezze della storia, si interroga e cerca risposte di verità”, una ricerca che non può né prescindere dalla storia né chiudere gli occhi davanti al futuro. E allora cerchiamo con gli altri la gioia, quella autentica, quella che contagia. Perché abbiamo ancora voglia di vita e abbiamo voglia di cantare alla vita.
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