Tecnicamente, era un referendum articolato in sette domande. Politicamente, una svolta maggiore rispetto alle Presidenziali di un anno fa. Si è votato ieri in Ecuador per la “Consulta popular” e i cittadini hanno in maggioranza detto sì alle sette proposte dell’attuale presidente Lenín Moreno, con una percentuale che va dal 63% al 73%, a seconda dei vari quesiti. Decretando, almeno per il momento, la scomparsa politica di Rafael Correa, carismatico leader della “revolución ciudadana”, suo predecessore e fino ad un anno fa leader continentale della sinistra. Colui che, più che per necessità che per convinzione, aveva scelto proprio Moreno come suo (provvisorio) successore, preferendolo al delfino Jorge Glas, troppo invischiato in storie di corruzione. Su una cosa Correa aveva ragione. Glas (poi eletto vicepresidente) si trova ora in carcere. Ma non poteva certo pensare che in pochi mesi Moreno avrebbe voltato pagina. Per combattere contro i sette quesiti Correa si è speso in prima persona. Dimostrando, a dire il vero, di avere ancora un notevole seguito. Uno scontro frontale che ha spaccato il partito che ha governato il Paese nell’ultimo decennio, Alianza País.
Alcuni dei sette quesiti, del resto, sembravano fatti apposta per mettere fuori gioco Correa e Glas, in particolare quelli che riguardavano l’interdizione dalla vita politica di chi è condannato per corruzione, l’abrogazione della legge che consente la rielezione indefinita del presidente della Repubblica, la riorganizzazione del “Consejo de participación ciudadana” (cioè l’organo che rappresenta la società civile, finora composto da fedelissimi di Correa). Gli altri quattro quesiti riguardavano invece l’abolizione della prescrizione dei reati sessuali contro i bambini; l’allargamento della zona protetta dello Yasuní; il divieto di alcuni tipi di estrazione mineraria; l’abrogazione della “Ley de Plusvalía” (che prevedeva una forma di tassazione sulla speculazione sui terreni di proprietà, di fatto impedendo l’aumento del prezzo delle abitazioni).
I vescovi: “Il pluralismo è una ricchezza”. Il giorno dopo restano diversi interrogativi: l’affermazione di Moreno unirà il Paese o aumenterà ancora di più la polarizzazione? Si è trattato solo di uno scontro personale o Moreno potrebbe dare vita ad una sinistra meno populista e più rispettosa dell’autonomia e dei limiti dei vari poteri? Viceversa, può ancora il presidente essere annoverato tra i leader di sinistra?
La Conferenza episcopale non ha preso una posizione esplicita durante la campagna elettorale, ma ha invitato alla partecipazione, ritenendo che il voto potesse indirizzare il Paese “verso cammini di libertà, democrazia e indipendenza dei poteri”. Un approccio di speranza che viene confermato da mons. Eugenio Arellano Fernández, vicario apostolico di Esmeraldas e presidente della Conferenza episcopale (Cee), interpellato dal Sir:
“Si è trattato di un voto molto importante. Noi veniamo da un Governo decennale un po’ particolare, che non ha lasciato grande spazio alla distinzione tra i poteri, al pluralismo e alle diversità. Noi dobbiamo tornare ad essere una democrazia in cui le diverse idee convivono pacificamente, il pluralismo è una ricchezza”.
L’eredità di Correa e le incognite su Moreno. Tuttavia, nonostante gli errori degli ultimi anni e i casi di corruzione, da parte del mondo culturale e dello stesso mondo cattolico di base si continua a considerare Correa un riferimento importante. Gli viene riconosciuto il merito di aver ridistribuito risorse a favore dei ceti meno abbienti e di aver riorganizzato lo Stato. Jorge Mora Varela, esperto di Scienze politiche e relazioni internazionali e docente alla Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador, spiga: “Non c’è dubbio che negli anni di Correa il Paese è stato trasformato, anche se non sono mancati problemi soprattutto legati al suo metodo politico. A me pare che Moreno abbia disarticolato la sua parte politica, la sinistra. Ha commesso un atto di imprudenza, si è al momento avvantaggiato ma alla lunga sarà la destra a trarne vantaggio. Anzi, è già oggettivamente alleato della destra, basta vedere la composizione del suo governo”. Giuseppe Tonello, di origini trevigiane, è stato fino a poco tempo fa il direttore generale della più grande ong del Paese, il Fondo ecuadoriano Popolorum Progressio: “E’ evidente – ci dice – che Correa ha commesso vari errori… D’altro canto quelli del referendum erano quesiti più politici che tecnici. Miravano all’eliminazione politica di Correa, impedendogli una eventuale rielezione. Mi sembra però che Moreno sia debole verso la destra, attento a fare concessioni ai banchieri e ai grandi gruppi”.
Il cancro della corruzione. Resta, in tale contesto, una forte preoccupazione che viene espressa da mons. Arellano:
“La corruzione è un fenomeno così esteso che ha finito con l’invadere quasi tutto il Governo
e rischia di trasformarsi in fenomeno generalizzato. Rischiamo di dimenticare che la corruzione non è solo prendere soldi, ma è anche rubare al povero, lasciare senza istruzione chi vive nella selva, non dare ai più deboli ciò che è loro dovuto”. In questo quadro, è però importante che la popolazione abbia detto sì alle limitazioni dell’attività estrattiva e all’ampliamento delle zone protette: “La nostra coscienza, come Chiesa dell’Ecuador, è molto sensibile al problema ecologico. Il popolo cosciente che la biodiversità è una grande ricchezza”, conclude il presidente della Conferenza episcopale.
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