Ma quale Paese di ignoranti, dove appena il 18% della popolazione arriva alla laurea (contro una media europea del 37%) e gli analfabeti funzionali (persone capaci di leggere e scrivere ma con difficoltà nel comprendere testi semplici) sfiorano il 30% del totale? L’identikit dell’italiano medio che esce dall’ultimo rapporto dell’Agcom sul consumo di informazione è un toccasana per l’autostima di un’intera nazione: il 95% dei cittadini si informa su almeno un mezzo di comunicazione, oltre l’80% accede all’informazione tutti i giorni.
Se la televisione si conferma ancora come il mezzo con maggiore valenza informativa, sia per frequenza di accesso (il 90% degli italiani lo utilizza a tale scopo) sia per importanza e affidabilità percepite,
internet sale nella graduatoria con il 70% della popolazione che vi si affida per reperire notizie.
Anche i quotidiani, consultati quotidianamente per informarsi da meno del 20% di individui, guadagnano terreno se si considera una frequenza di lettura meno ravvicinata nel tempo, raggiungendo ancora livelli non distanti da quelli di internet e della radio.
I dati certificati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni raccontano di una sparuta pattuglia di italiani resilienti (circa il 5%) che non si informa affatto, o almeno non attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Per il resto, il ritratto è quello di un Paese che non perde l’occasione ogni giorno di informarsi anche se con modalità nuove: gli italiani, infatti, accedono all’informazione online prevalentemente attraverso social network, motori di ricerca e aggregatori di notizie (55%), mentre si registra una minore fruizione delle fonti editoriali professionali (39%). Eppure, spiega l’Agcom, l’attendibilità percepita delle fonti online è inferiore rispetto a quella riscontrata per le tradizionali. Ma ciò non basta a modificare le modalità di fruizione.
Se la “dieta” informativa degli italiani è caratterizzata ormai per tre quarti di essi da uno spiccato fenomeno di cross-medialità, dal rapporto poco o nulla emerge ad esempio sulla capacità di individuare le fonti o sul tempo dedicato alla comprensione dei fenomeni sociali.
Qualche indizio sul fatto che le cifre dell’Agcom non spieghino tutto, viene da una recente analisi dell’Ipsos circa la distanza tra idee e fatti nella percezione delle persone. I risultati sono a tratti scoraggianti: un italiano su due ritiene che il tasso di omicidi sia aumentato dal 2000, mentre è diminuito del 39%; soltanto uno su cinque stima correttamente che i morti per terrorismo siano diminuiti dopo l’attentato delle Torri Gemelle; per non parlare della presenza di detenuti di origine straniera nelle carceri, percepita in modo sensibilmente superiore a quella registrata ufficialmente (48% contro 34%).
E allora qualcosa non torna nei numeri lusinghieri dell’Autorità, o almeno non basta a comprendere una realtà assai più complessa che non può essere ridotta al 26% della popolazione che pone ormai la Rete al primo posto tra i mezzi di informazione. Perché troppo spesso tutto ciò si risolve in una domanda a Google che, nella migliore delle ipotesi, rimanda a Wikipedia. O in un’occhiata rapida ai post segnalati su Facebook, o agli hashtag di tendenza su Twitter. Se questo è informarsi, poveri noi. E il futuro non sembra radioso se circa un quarto dei minori non si interessa alle notizie o lo fa utilizzando un solo mezzo di informazione, che molto spesso è proprio il web. Mala tempora currunt sed peiora parantur.
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