Per gusto personale sono sempre stato un po’ distante dall’arte religiosa contemporanea, incerta nel tratto, poco definita nei contorni e spesso di non facile lettura per il grande pubblico. Per tale motivo, ho sempre snobbato, pur conoscendolo da anni, il quadro I discepoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina della Resurrezione, opera dipinta nel 1898 dal pittore svizzero Eugène Burnand. Quando alcuni amici, appassionati di arte sacra come me, mi proponevano quell’immagine, non nascondo di aver pensato più di una volta: “Ma che ci troveranno di bello in questo quadro!?”.
In effetti, di primo acchito, si vedono solo due persone nell’atto di correre… e cosa avrebbe di artistico, e a maggior ragione di religioso, una tale immagine? Eppure, col passare degli anni, mi sono dovuto profondamente ricredere, perché, a ben vedere, l’opera ha una grande profondità teologica e offre più di una suggestione a chi si sofferma a meditarlo, più che a guardarlo.
Burnand si è ispirato al passo evangelico Gv 20,3-10. È forse la prima volta nella storia dell’arte che i due discepoli Pietro e Giovanni vengono rappresentati non nel sepolcro, ma mentre corrono verso di esso. Giovanni, in maniera fedele al testo, è dipinto più vicino alla meta. Infatti, l’evangelista Giovanni narra che egli fu il primo a giungere nel luogo dove Gesù era stato sepolto. Giovanni, il discepolo amato dal Signore, è rappresentato, come da tradizione, come un uomo molto giovane e sbarbato. Ha le mani giunte – un richiamo alla sua indole mistica – e indossa una tunica bianca. La sua figura contrasta con l’altro discepolo, Pietro, che invece è rappresentato come un uomo anziano che indossa una tunica rossa e blu. Giovanni incarna il misticismo della Chiesa, mentre Pietro il suo aspetto istituzionale.
Nonostante questo dicotomia, i due apostoli sono rappresentati come un tutt’uno. Essi sono l’immagine dell’intera Chiesa che raduna al suo interno, personaggi assai diversi, a volte completamente opposti, sia per carattere sia per temperamento, eppure così uniti, proprio come Pietro e Giovanni. Come è possibile questo? Cosa genera un tale “miracolo”? Come avviene una così grande conciliatio oppositorum?
La risposta viene se ci si concentra sui loro sguardi: Pietro e Giovanni sono uniti, non perché si guardano l’uno con l’altro, non perché cerchino un accordo o un compromesso fra le loro personalità così agli antipodi, ma perché guardano tutti e due verso la stessa direzione, verso la stessa meta: Cristo morto e risorto. È lui a generare l’unità fra chi lo riconosce Signore. Pietro e Giovanni sono pieni della stessa cosa.
È molto significativo che il loro sguardo sia rivolto verso qualcosa che sta oltre la cornice e che il pittore ha sapientemente omesso. La resurrezione infatti è un evento metastorico, che deborda la nostra esperienza sensoriale e che introduce Cristo in quell’infinito che è l’oggetto del battito del cuore di ogni uomo. Il dipinto mette dunque a tema la funzione e la missione della Chiesa, cioè di indicare all’uomo dove guardare per vedere compiuto il suo desiderio di infinito.
I colori delle tuniche, richiamano evidentemente il mistero della persona di Cristo. Pietro ha una tunica rossa e blu, la stessa che nella tradizione iconografica è indossata da Gesù in centina di dipinti, affreschi e mosaici. Il rosso, colore del sangue, significa la sua umanità, mentre il blu indica la sua divinità. Giovanni veste un abito bianco che allude alle resurrezione di Cristo.
È chiaro dunque l’intento del pittore, quello di mostrarci il compito della Chiesa (simboleggiata proprio dai due apostoli), quella di essere testimone nel tempo e nello spazio del mistero di Cristo morto e risorto, tanto più se si nota che la scena suggerisce un movimento spazio-temporale, attraverso la corsa (nello spazio) dei discepoli e il sorgere del sole (tempo).
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