Domani ricorre il 24° anniversario del genocidio in Rwanda. Dopo l’assassinio del presidente J. Habyarimana, circa 800mila persone, in prevalenza tutsi, furono uccise nelle violenze perpetrate da milizie di hutu, estremisti e gruppi armati. La Chiesa pagò un altissimo tributo di sangue. In una recente lettera, i vescovi del Paese ricordano che il 2018 è l’anno pastorale dedicato alla riconciliazione, “processo che richiede tempo, pazienza e grazia divina”, ma che i vescovi vogliono compiere “in risposta all’appello di Papa Francesco”. È importante “guardare al nostro passato per valutare che cosa siamo riusciti a fare nel processo di riconciliazione” già avviato. Ora c’è bisogno che “chi ha commesso dei crimini sia aiutato a chiedere perdono e le vittime a perdonare”. C’è bisogno “di verità, di un cambiamento di mentalità per evitare di chiuderci nella nostra storia e di coltivare la compassione nei nostri cuori”. Sono “la Parola di Dio e il Magistero che mostrano esplicitamente che cosa dobbiamo fare”, spiegano i vescovi, nel rapporto con Dio, se stessi, gli altri e il creato. I vescovi, che ringraziano tutti gli attori di riconciliazione e s’impegnano a proseguire nel lavoro di ascolto e con i percorsi di mutuo-aiuto, chiedono allo Stato di “sostenere la riconciliazione che promuove verità, giustizia e pace tra i ruandesi” e aiutarli a “resistere contro ogni incitazione al male”, di sostenere la lotta contro ogni forma di corruzione e il rispetto dei diritti umani.
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