“Trans-umanesimo”, ovvero “oltre l’umano”. Ci riferiamo al movimento culturale – denominato anche “transumanismo” (spesso indicato in sigla con >H, H+ o H-plus) – che promuove un uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche più avanzate finalizzato ad aumentare le capacità fisiche e cognitive delle persone. La prospettiva finale è quella di migliorare gli aspetti della condizione umana generalmente valutati come “indesiderabili” (ad esempio, la malattia e l’invecchiamento), una prospettiva che, tendenzialmente, “fa l’occhiolino” ad una possibile futura trasformazione post-umana.
In realtà, il movimento culturale transumanista ha ormai ampliato i suoi orizzonti, facendo riferimento ad una visione “antispecista”, che riconosce il diritto al benessere per tutti gli esseri senzienti, non solo gli umani.
La prospettiva di pensiero degli aderenti al movimento transumanista mantiene come presupposto un convincimento “futuribile” (e, probabilmente, anche un po’ “fideistico”), ben espresso in queste affermazioni: “Il progresso scientifico e tecnologico rivoluzionerà nei prossimi decenni la condizione umana, permettendoci di trascendere i nostri limiti naturali e di incrementare le nostre capacità fisiche e cognitive: grazie a biotecnologie e ingegneria genetica, nanotecnologie e robotica, intelligenza artificiale e neuroscienze, spezzeremo i nostri vincoli biologico-evoluzionistici emancipandoci da invecchiamento, malattia, sofferenza, povertà e ignoranza”. Così, infatti, recita l’art. 1 della Carta dei Princìpi dei Transumanisti Italiani (adottata il 23 maggio 2015 dall’assemblea dai membri del Network dei Transumanisti Italiani), documento che – come esso stesso afferma – esplicita “i valori di riferimento nei quali i transumanisti eticamente attenti e consapevoli possono riconoscersi”.
Fin qui la prospettiva di fondo. Le radici del transumanesimo, invece, vanno ricercate più indietro nel tempo, in un viaggio ideale che dall’umanesimo rinascimentale passa per l’illuminismo e il positivismo, fino a incrociare il “superomismo” nietzschano e futurista. Pur originando dall’umanesimo, dunque, da cui mutua alcuni elementi come il rispetto per la ragione e le scienze, l’impegno per il progresso ed il dar valore all’esistenza umana in questa vita, “il transumanesimo differisce da esso nel riconoscere ed anticipare i radicali cambiamenti e alterazioni, sia nella natura che nelle possibilità delle nostre vite, che saranno il risultato del progresso delle varie scienze e tecnologie” (Max More).
Ma da dove proviene il termine “transumanesimo”? A coniarlo, nel 1957, fu Julian Huxley, biologo, genetista e scrittore britannico, che lo utilizzò nel suo testo “Transhumanism”, immaginando scenari di emancipazione dell’umanità.
Quanto agli sviluppi del movimento “militante”, se già nel 1974 il bioeticista statunitense Joseph Fletcher sosteneva l’idea di utilizzare la genetica e altre scienze in via di sviluppo per migliorare – e non solo curare – la condizione umana, i primi transumanisti americani, in realtà, si incontrano formalmente solo all’inizio degli anni 1980, alla University of California di Los Angeles, che presto diviene il loro principale centro di riferimento. La messa in comune e il confronto delle loro idee (a volte con prospettive molto differenti tra loro) porta gradualmente alla nascita, nel 1998, della World Transhumanist Association, a tutt’oggi la più importante organizzazione transumanista internazionale (che ha recentemente mutato il suo nome in “Humanity+”). In Italia, due sono i principali raggruppamenti di aderenti al transumanesimo: l’Associazione italiana transumanisti e il Network transumanisti italiani, entrambi afferenti a Humanity+.
In relazione ai contenuti di pensiero e di idee propugnate,
sarebbe un errore pensare al transumanesimo attuale come ad una sorta di pensiero “monolitico” e univoco.
I suoi aderenti, infatti, talvolta appartengono a gruppi d’ispirazione varia, in qualche caso contigua all’ideologia politica o razziale, con finalità ultime estranee – se non addirittura confliggenti – ai principi generali della Dichiarazione transumanista (redatta nel 1998 da un gruppo internazionale di autori e “revisionata” nel 2009).
Certamente il transumanesimo ha ricevuto negli anni varie critiche, fondamentalmente raggruppabili in due categorie principali: obiezioni circa la possibilità reale di raggiungere gli obiettivi prefigurati dai transumanisti; obiezioni sulla “desiderabilità” di questi obiettivi e dei principi che li generano. Talora, le critiche includono ambedue gli aspetti.
Di sicuro, lascia perplessi l’idea di fondo che anima questo filone di pensiero, la convinzione, cioè, che “l’umano”, così come lo conosciamo e sperimentiamo, debba essere necessariamente superato, allo scopo di sconfiggerne tutti limiti biologici e strutturali. Pur potendo cogliere in questo orientamento una radicale apertura “trascendentale”, genuinamente umana, che spinge ogni individuo verso un “oltre”, ci chiediamo però se sia proprio vero che i limiti, propri alla nostra condizione umana, siano da considerarsi “a priori” negativi. E poi, quali sarebbero i criteri per valutare la bontà delle nuove caratteristiche umane da perseguire? E ancora, chi avrebbe il compito (e l’autorità) di stabilirli per l’intera comunità umana? O dovremmo piuttosto rifugiarci tutti in un individualismo radicale, dove ognuno possa e debba decidere per sé?
E ancora, è possibile una certa “compatibilità” della visione transumanista con le fedi religiose? Tutti interrogativi legati al transumanesimo che chiedono di essere meglio delineati ed approfonditi, per un più proficuo contributo al bene dell’umanità.
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