“Un Paese distrutto. Da Damasco ad Aleppo è una distesa di macerie”. È questa la Siria oggi nelle parole di Giampaolo Silvestri, segretario generale dell’Avsi (organizzazione non profit che realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in tutto il mondo ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa). Silvestri è rientrato da pochissimi giorni in Italia dopo un viaggio in Siria per fare il punto sui progetti Avsi nel Paese, giunto ormai al suo ottavo anno di guerra.
“Il panorama è desolante – racconta al Sir – soprattutto nelle zone periferiche della Capitale come il Ghouta. Interi quartieri sono stati distrutti e non si vede un minimo segno di ricostruzione”. La stessa cosa si vede quando ci si allontana dalla Capitale per raggiungere Aleppo, un tempo la capitale industriale della Siria: “Attraversando le campagne per centinaia di chilometri si vedono solo decine di piccoli villaggi distrutti dalle bombe, abbandonati e privi di anima”.
La seconda città siriana, detta la Bigia, la più popolosa del Paese, tra le più antiche del mondo, e patrimonio dell’Unesco dal 1986. Un vero e proprio museo a cielo aperto con una storia di convivenza millenaria, di dialogo fra fedi ed etnie, oggi dilaniato dalla guerra. “La parte Ovest della città (tenuta dai governativi, ndr) si presenta quasi intatta con pochi danni, mentre la zona Est (dei ribelli, ndr) non esiste più, così come quella vicina alla Cittadella. Ad oggi le zone pacificate sono quelle riconquistate dai governativi ma non c’è rimasto più nulla”, precisa il segretario generale Avsi. E non si smette di combattere nella provincia di Idlib, dove sono stati concentrati i gruppi ribelli che si sono arresi al regime, e in alcune zone del sud, come As-Suwayda, città al confine con la Giordania, 120 km a sud di Damasco.
Quadro a tinte fosche. “Ora in alcune zone si registra maggiore sicurezza e pace” afferma Silvestri, ma raggiunte a un prezzo alto, pagato “con la distruzione di un Paese che oggi non esiste più sia dal punto di vista materiale che sociale e morale”.
“Per curare le ferite interiori di questa guerra ci vorranno decenni”.
Il pensiero del segretario generale Avsi va anche ai cristiani e al loro storico ruolo di ponte:
“La guerra ha messo in fuga tanti cristiani. Solo ad Aleppo si stima che ne siano rimasti circa 30mila. Lo stesso vale per tutta la Siria che ha perso la sua tradizionale diversità, che era una vera ricchezza”.
Silvestri dipinge un quadro a tinte fosche ma senza per questo rinunciare alla speranza dovuta a un popolo che vuole rialzarsi. I problemi sul terreno sono tanti e non riguardano solo la ricostruzione della Siria, che pure appare problematica. “Non sarà semplice rimettere in piedi le infrastrutture – ammette – da ciò che ho visto bisognerà buttare giù tutto e ricostruire da capo interi quartieri. E non sarà semplice. La Siria aveva un tessuto industriale e manifatturiero importante. Aleppo lo testimonia. Bisognerà riaprire le industrie, creare occupazione. Senza lavoro la Siria non riparte. In questo ambito potrebbero trovare spazio anche progetti di ripresa di piccole attività economiche. Purtroppo – ricorda il segretario generale Avsi – la Siria è un Paese ancora sotto embargo internazionale e questo non faciliterà la ricostruzione”.
Il ritorno dei profughi. I problemi della Siria portano anche il nome dei profughi interni e degli sfollati: sono circa 6 milioni quelli riparati in particolare in Turchia, in Libano e in Giordania, 5 milioni quelli interni. “Per loro non si prevede, almeno per ora, il rientro”, dichiara Silvestri. A complicare le cose è la nuova Legge 10 del 2018 che consente al governo siriano di demolire insediamenti informali a Damasco e nell’area limitrofa per trasformarli in zone di sviluppo urbano con quartieri residenziali, mercati e spazi pubblici. La norma prevede che, una volta individuata una zona di sviluppo, le autorità debbano pubblicamente notificarlo ai proprietari della terra e delle case, i quali hanno 30 giorni per presentare la documentazione necessaria a reclamarne la proprietà.
“I siriani sfollati interni e in altri Paesi sono più di 11 milioni ed è plausibile che molti degli interessati abbiano difficoltà a rispettare questo parametro” come dimostrato anche dal Consiglio norvegese dei rifugiati, per il quale “meno di un siriano su cinque è in possesso di documenti di proprietà. Il 21% ha dichiarato che i documenti sono andati distrutti”. La principale conseguenza del mancato rientro, aggiunge, “potrebbe essere la ‘palestinizzazione’ della crisi siriana. In Libano e in Giordania oggi, dopo diversi decenni, vivono ancora i palestinesi sfollati delle guerre arabo-israeliane. Sarà così anche per i 5 milioni di profughi siriani? E come potranno continuare a vivere in questi Paesi di accoglienza?”.
Al fianco dei più bisognosi. In attesa che dalla diplomazia giungano buone notizie Avsi continua con il suo lavoro in Siria dove è una delle 16 organizzazioni internazionali presenti operando, con la Mezzaluna Rossa, su più fronti per dare aiuto alla popolazione. A Damasco con attività di sostegno alle donne e ai bambini, ad Aleppo in supporto ad attività della Custodia di Terra Santa. “Siamo ancora nel campo delle emergenze, in particolare in quello sanitario – afferma Silvestri -. A fine 2016 abbiamo lanciato, per iniziativa del card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, il progetto ‘Ospedali aperti’, per garantire l’accesso alle cure ai più poveri. La missione che abbiamo appena concluso è servita anche per capire come si stanno evolvendo i bisogni per dare poi risposte precise e puntuali. In Libano e in Giordania siamo presenti con diversi progetti rivolti agli sfollati siriani per offrire loro lavoro, formazione ed educazione”.
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