“E’ una vergogna che non si sia mai indagato sull’assassinio di Romero. 38 anni dopo confidiamo nel sistema giudiziario perché la situazione si sblocchi e si vada avanti con il processo. Spero che con questa canonizzazione le cose si smuovano”. Così il cardinale Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador, ribadisce al Sir la richiesta di verità e giustizia su un omicidio rimasto ancora impunito, come gli altri crimini e orrori commessi durante il periodo più cruento della guerra civile dal 1980 al 1992, costato migliaia di morti e desaparecidos. Lo fa alla vigilia della canonizzazione di mons. Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador assassinato il 24 marzo del 1980 mentre celebrava messa nella cappella dell’ospedale oncologico l’Hospitalio, dove risiedeva avendo rifiutato il palazzo episcopale. Domenica 14 ottobre Papa Francesco lo proclamerà santo della Chiesa universale insieme a Papa Paolo VI, Francesco Spinelli, Vincenzo Romano, Maria Caterina Kasper, Nazaria Ignacia March Mes e Nunzio Sulprizio, in una celebrazione in piazza San Pietro. Prevista la partecipazione di oltre 70mila persone.
San Romero del Salvador sarà santo per il mondo intero. Il cardinale Chavez, allora stretto collaboratore dell’arcivescovo, ricorda che “mons. Romero è martire per la giustizia e per i diritti, un esempio tanto più necessario oggi, con il mondo pieno di contraddizioni e violazioni diritti umani”. Subito dopo essere stato ucciso da alcuni sicari a causa delle sue omelie in cui denunciava le ingiustizie, mons. Romero divenne santo a furor di popolo. “San Romero del Salvador” ora sarà santo per il mondo intero. Il cardinale, emozionato e felice, invita a “non perdere di vista le sue caratteristiche: è il santo che ci apre alla conversione, all’autenticità”:
“La canonizzazione non deve essere una operazione di maquillage, di apparenza, ma un vero impegno accanto alla gente che soffre”.
Dopo un “lungo cammino finalmente arriviamo alla meta – dice -. E’ la realizzazione di un sogno, ma siamo passati attraverso molto sacrificio”.
A Roma un incontro per chiedere “Justicia para Romero”. La società civile salvadoregna e molte organizzazioni internazionali e italiane che la sostengono, stanno infatti lottando da anni. A questo proposito si è svolto il 10 ottobre a Roma un incontro con i delegati salvadoregni della Commissione giustizia e verità per chiedere “Justicia para Romero” e per tutte le violazioni dei diritti umani a El Salvador. “È assurdo che ci sia ancora l’impunità sull’omicidio di un uomo che dall’altare faceva nomi e cognomi e cercava verità e giustizia per il suo popolo – ha detto don Luca Pandolfi, docente di antropologia all’Università Urbaniana e dell’associazione Sal (Solidarietà con l’America Latina).
“Si sa chi sono i mandanti e i sicari degli squadroni della morte ma finora nessuno è stato processato o condannato”.
I nomi che circolano sono il maggiore Roberto D’Aubuisson, che pare abbia pianificato a tavolino l’esecuzione e l’ex capitano Alvaro Saravia. Gli imprenditori, i politici e i militari che guidavano e sostenevano la giunta militare al potere consideravano l’arcivescovo una minaccia, a causa delle sue continue denunce. L’arcivescovo Arturo Rivera y Damas, successore di Romero, denunciò l’allora governo di El Salvador all’Organizzazione degli Stati americani per non aver fatto indagini. Il giudice Amaya che aveva iniziato a seguire il caso ricevette minacce pesanti e dovette fuggire in Venezuela. Nella sessione finale a Washington, alla quale partecipò anche mons. Chavez, gli venne detto che oramai la pace era stata firmata e bisognava archiviare il caso. L’arcivescovo Rivera y Damas rispose che sì, era giusto perdonare, ma non si poteva negare al popolo la verità e la giustizia riparativa. Dopo la firma della pace nel 1992 una legge nazionale decretò nel 1993 l’amnistia per tutti i reati, poi dichiarata incostituzionale nel 2013. Nel 2017 è ricominciato formalmente il processo che però non va avanti per i tanti interessi in gioco.
La lotta della società civile di El Salvador contro l’impunità. Il 10 ottobre scorso nella capitale del Salvador centinaia di persone hanno partecipato a una marcia per chiedere giustizia convocata da padre Fredis Sandoval, coordinatore della Concertacion Romero, un corteo che si è concluso davanti al centro giudiziario “Isidro Menéndez” dove sono custoditi i fascicoli del “caso Romero”: “Ora attendiamo passi più determinati, sicuri ed efficaci”. “Sul tema dell’impunità in questi anni siamo tornati indietro”, ha denunciato Alejandro Diaz, avvocato della Tutela legal “Julia Hernandez”, l’ufficio diocesano che aveva raccolto 22.000 denunce sulle violazioni dei diritti commessi in quegli anni, poi chiuso nel 2013. Ora ha riaperto e continua a lavorare come associazione laica.
“Abbiamo documentato sparizioni forzate, assassini, persecuzioni di membri della Chiesa, massacri, tutto ciò che veniva compiuto in quegli anni di ‘politica della terra bruciata’”,
ha ricordato Diaz. Tra queste storie drammatiche, quella di Sofia Hernandez, che ha raccontato la sua vicenda familiare tra le lacrime, “perché questo dolore non può finire mai”: le hanno ucciso il marito, il figlio e tre parenti stretti sono desaparecidos. Ha assistito a scene violentissime, da anni con una ottantina di madri di altri scomparsi continua a reclamare verità e giustizia per i suoi cari. “Chiediamo assistenza psicologica per le vittime e riparazione del danno, perché oltre ai nostri familiari abbiamo perso tutto – ha detto -. Anche le nostre case sono state distrutte dalle forze armate. Chiediamo la solidarietà internazionale. Noi continueremo a lottare, perché la storia non può restare impunita”.
Mons. Romero e padre Puglisi, le similitudini. Presente all’incontro anche il senatore Pietro Grasso che ha fatto un parallelo tra gli omicidi del beato padre Pino Puglisi e di mons. Romero. “Entrambi ispirati da grande fede, da una umanità fuori dal comune, amatissimi dal popolo e dai giovani. Li hanno uccisi per bloccare un messaggio pastorale forte contro Cosa nostra e contro il narcotraffico”. Grasso ha raccontato di aver visitato il luogo dove è stato ucciso mons. Romero e di portare ancora con sé “un ricordo indelebile”. “Il lavoro della Commissione verità e giustizia è importante e va sostenuto – ha concluso -. Nessun Paese può costruire il proprio futuro senza fare i conti con il passato”.
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