“È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto”. È partito da questa citazione di Paolo VI il ritratto di Papa Francesco del quarto Pontefice del Novecento ad essere canonizzato, dopo Pio IX, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Il terzo sotto il Pontificato di Bergoglio, dopo la doppia canonizzazione del 2014, sempre in Piazza San Pietro, come oggi. “La tristezza è la prova dell’amore incompiuto. È il segno di un cuore tiepido. Invece, un cuore alleggerito di beni, che libero ama il Signore, diffonde sempre la gioia, quella gioia di cui oggi c’è gran bisogno”, dice Francesco contestando, attraverso le sue parole, la “vulgata” di un Papa Montini “triste”. Davanti a 70mila persone che affollano la Piazza in una mattinata di sole, il Papa alle 10.35 circa proclama Santo il Papa della sua formazione, quello più citato nei suoi documenti, salutato da un applauso collettivo dei fedeli, che hanno sentito risuonare insieme a quello di Montini il nome di Oscar Arnulfo Romero, il vescovo di San Salvador martirizzato il 24 marzo 1980 dagli “squadroni della morte”, e quello di altri cinque beati: Francesco Spinelli, Vincenzo Romano, Maria Caterina Kasper, Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e Nunzio Sulprizio. “È bello che insieme a lui e agli altri Santi e Sante odierni ci sia mons. Romero, che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la sua vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli”, esclama nominando, uno per uno, gli altri nuovi Santi e dedicando alcune parole a braccio a Nunzio Sulprizio, “il nostro ragazzo napoletano, il santo giovane, coraggioso, umile, che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell’offerta di sé stesso”. Paolo VI, dunque, è stato proclamato Santo insieme ad altri testimoni che “in diversi contesti hanno tradotto con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare”, l’omaggio al termine dell’omelia: “Il Signore ci aiuti a imitare i loro esempi”.
“Gesù ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua vita”, dice Francesco commentando il Vangelo odierno. “I Santi hanno percorso questo cammino”, le parole che riecheggiano quelle della sua ultima esortazione apostolica, “Gaudete et Exsultate”. L’ha fatto Paolo VI, sull’esempio dell’apostolo del quale ha scelto di portare il nome. “Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, validando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo”,
“profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri”,
afferma il Papa, che definisce il suo predecessore un vero precursore della “Chiesa in uscita”.
“Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente”, le parole riferite al primato della coscienza, che nella spiritualità di Montini rappresentava per ogni uomo il sacrario più intimo dell’incontro con Dio.
“Oggi ci esorta, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. No alle mezze misure, ma alla santità”.
È questa, del resto, la via indicata da Gesù a quel “tale” che gli è corso incontro per chiedergli come fare ad avere la vita eterna. È una “proposta di vita tagliente”, quella di Gesù, che lo spiazza con due imperativi: “Vieni”, cioè “non stare fermo, perché non basta non fare nulla di male per essere di Gesù”. E “seguimi”, cioè “non andar dietro a Gesù solo quando ti va, ma cercalo ogni giorno”.
“Dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto per l’uomo”,
il monito di Francesco: “Il Signore non fa teorie su povertà e ricchezza, ma va diretto alla vita”. “Non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose, la ricchezza è pericolosa”, soffoca il cuore e ci rende incapaci di mare. Gesù, invece, è radicale: “Dà tutto e chiede tutto”, e noi non possiamo dargli in cambio “le briciole, qualche ritaglio di tempo, una percentuale di amore”.
“Chiediamoci da che parte stiamo”,
l’invito esigente alla “Chiesa in cammino”, destinataria di una serie di domande: “Siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo? Ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo?”. Infine una preghiera:
“Chiediamo la grazia di sapere lasciare per amore del Signore; lasciare le ricchezze, le nostalgie di ruoli e poteri, le strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di autocompiacimento egocentrico”.
L’antidoto a una vita cristiana “senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti”, è la passione. La stessa passione – gioiosa, e non triste – che traspare dal testamento di Paolo VI, nell’aggiunta dell’ultimo giorno: “Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena”.
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