Lo “sfiorire della ripresa” (documentata dalla stasi o dalla flessione di tutti gli indici economici) e l’“atteso cambiamento miracoloso” che non c’è stato (il 56,3% dichiara che non è vero che “le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente”). Sono queste due “delusioni cocenti” ad aver “incattivito” gli italiani” che si erano resi disponibili “a compiere un salto rischioso e dall’esito incerto, un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto così vicino” proprio perché “la scommessa era poi quella di spiccare il volo”. E questo anche a costo di “forzare gli equilibri politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche”, “quasi un ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite”. Ma il volo poi non c’è stato e il “rancore”, tratto dominante nell’analisi degli anni precedenti, è divenuto “cattiveria”. E’ il 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi a Roma, a tracciare questa severa diagnosi. Per il Censis si tratta di “una reazione pre-politica con profonde radici sociali” che alimenta “una sorta di sovranismo psichico” e che “talvolta assume i profili paranoici della caccia al caprio espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.
Il Rapporto individua nella “assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, il “processo strutturale chiave” dell’attuale situazione. “E’ il rovescio del miracolo economico, il sogno che diventa un incubo”, sintetizza con una battuta Massimiliano Valerii, direttore del generale del Censis.
Non a caso “l’Italia è ormai il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto un condizione socio-economica migliore di quella dei genitori”.
Non solo. “L’insopportazione degli altri – rileva ancora il Censis – sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili”, e mentre si manifesta “un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi”, “le diversità degli altri sono percepite come pericoli da cui difendersi”. Quasi il 70% non vorrebbe come vicini di casa dei rom o delle persone con problemi di alcool e droga. Il 52% (il 57% tra chi ha redditi bassi) è addirittura persuaso che si faccia di più per gli immigrati che per gli italiani. Il giudizio negativo sull’immigrazione nel suo complesso è nettamente superiore alla media europea.
Più in generale, rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista “perché scruta l’orizzonte con delusione e paura”, il 31,3 è incerto e solo il 33,1% è ottimista. Il 63,6% degli italiani, inoltre, è convinto che nessuno ne tuteli interessi e identità e che quindi occorra farlo in proprio, percentuale che sale oltre il 70% tra chi ha basso reddito o basso titolo di studio. Per il Censis, dunque, “andiamo da un’economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società” in cui “ciascuno afferma un proprio paniere di diritti”. Del resto,
“la società vive una crisi di spessore e di profondità: gli italiani sono incapsulati in un Paese pieno di rancore e incerto nel programmare il futuro”.
“Il sistema sociale, attraversato da tensioni e paure – questa l’analisi del Rapporto – guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità, rompe l’empatia verso il progresso, teme le turbolenze della transizione. Il popolo si ricostituisce nell’idea di una nazione sovrana supponendo, con una interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della disuguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale. I riferimenti alla società piatta come soluzione del rancore e alla nazione sovrana come garante di fronte a ogni ingiustizia sociale, hanno costruito il consenso elettorale e sono alla base del successo nei sondaggi politici in Italia come in tante altre democrazie”.
“Siamo di fronte a una politica dell’annuncio,” sottolinea il Censis, ma “senza la dimensione tecnico-economica necessaria a dare seguito al progetto politico”, l’annuncio “da profetico si fa epigonale”. C’è infatti bisogno di “una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vicoli di rancore o in ruscelli di paure” e si misuri invece “con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi”. Chiosa Giorgio De Rita, segretario generale del Censis: “Registriamo una grande domanda di profezia, che non è un salto nel buio, ma la capacità di progettare una società possibile, di tenere insieme la visione del futuro con la concretezza dei passi reali per costruirlo. E comunque ancora una volta siamo convinti che la società italiana non potrà ripartire se non attraverso un processo dal basso”.
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