Anna T. Kowalewska
Da 15 anni, da quando l’Onu ha istituito la Giornata della memoria, la Fondazione Shalom organizza a Varsavia, davanti al monumento del Ghetto, una manifestazione per commemorare le vittime della Shoah. Parallelamente l’ideatrice della Fondazione, Golda Tencer , attrice e direttrice del Teatro ebraico nella capitale polacca, invia ai parroci di tutta la Polonia l’invito a partecipare alla Fiamma della memoria. “È un’iniziativa che viene accolta molto positivamente da fedeli cattolici e da quelli di altre Confessioni ma anche dai non credenti”, spiega Tencer. Il portavoce dei vescovi polacchi don Pawel Rytel-Andrianik , interpellato dal Sir in merito al progetto, sottolinea non solo la sua portata ma anche il fatto che sia ormai ben radicato nella tradizione delle celebrazioni della Shoah.
“Sono convinta che grazie all’amicizia della Chiesa cattolica il nostro appello giungerà non solo agli abitanti delle grandi città ma anche dei piccoli centri e dei paesi”, scrive Tencer nella lettera indirizzata al presidente dei vescovi polacchi, mons. Stanislaw Gadecki, e resa nota dall’Ufficio stampa della Conferenza episcopale.
“Il progetto della Fiamma della memoria – spiega – si pone come obiettivo la presa di coscienza dei pericoli legati all’intolleranza religiosa ed etnica ed è indirizzato a tutta la società polacca, a tutti coloro che sentono vicini i diritti fondamentali dell’uomo: il diritto alla vita e alla libertà, a prescindere dalle differenze di razza e di fede”.
Signora Tencer, come viene accolta l’iniziativa della Fiamma della memoria?
L’invito è ad accedere ed esporre dalle finestre, la sera del 27 gennaio, un lumino acceso. Il progetto viene condiviso dagli abitanti di molti centri in tutta la Polonia con numerosissime adesioni. Già molto prima del 27 gennaio i sacerdoti invitano i fedeli a partecipare alla Fiamma e a quell’appello rispondono molte persone. Alcuni anni fa la tv pubblica ha trasmesso l’immagine del cardinale Stanislaw Dziwisz con il lumino e quel suo gesto ha indubbiamente accresciuto ancora la popolarità dell’iniziativa con la quale desideriamo soprattutto mantenere la memoria delle vittime e delle tragedie umane. Molte persone poi, che espongono i lumini, trasmettono quel gesto ai figli e ai nipoti e così la Fiamma della memoria diventa pian piano una consuetudine.
Di quali altre iniziative si è resa promotrice la sua Fondazione?
Da qualche anno nelle Giornate della memoria a Varsavia viaggia un tram con la stella di Davide. Il tram, sebbene vuoto e senza passeggeri, si ferma alle fermate, e apre le porte come se ci fossero dei passeggeri da far scendere e salire. Anche questo è un modo per ricordare coloro che non ci sono più. In occasione della commemorazione della rivolta del Ghetto di Varsavia poi abbiamo piantato sulla centrale Piazza Grzybowski – che ai tempi dell’occupazione nazista della Polonia si trovava entro le mura del ghetto – un salice piangente dedicato alla memoria delle madri ebree che, per far sopravvivere i loro figli, li facevano passare oltre le mura del ghetto dalla parte ariana e in memoria delle madri polacche che poi li hanno cresciuti ed educati. Inoltre,
abbiamo organizzato una grande esposizione delle fotografie che ritraggono gli ebrei nella Polonia, prima della guerra. L’esposizione di alcune centinaia di foto è stata già portata in oltre 70 Paesi tra Europa, Usa e America latina. A New York è stata addirittura prorogata per ben sei volte avendo riscontrato un grandissimo interesse ed essendo stata recensita per ben due volte dal New York Times.
Quale atmosfera accompagna in Polonia queste iniziative? Qual è oggi il problema più importante a 75 anni dall’Olocausto?
Non mi ricordo alcun atto di ostilità nei nostri confronti, almeno a Varsavia. È tuttavia sempre molto preoccupante che sia sempre così difficile comunicare e comprendersi mentre è necessario arrivare ad un consenso comune affinché i nostri nipoti possano vivere in un Paese libero dall’odio. Per questo bisogna parlare, dialogare. Io quindi cerco di far sì che ci possiamo sedere allo stesso tavolo. La storia dei polacchi e quella degli ebrei ha le stesse radici: la cultura, la letteratura polacca e quella ebrea si avvicendano reciprocamente, scambiando tra di loro immagini e tracce. Quindi oggi, oltre a preservare i ricordi, l’impegno più impellente mi sembra imparare a parlare, a dialogare gli uni con gli altri.
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