La notizia è passata pressochè inosservata sui media Italiani: nei giorni scorsi il Parlamento greco ha approvato uno storico accordo con la confinante Repubblica di Macedonia in base al quale d’ora in poi quest’ultima si chiamerà ufficialmente “Repubblica di Macedonia del nord”.
Quello che a prima vista appare un “semplice” cambio di nome rappresenta in verità l’auspicata soluzione di una diatriba che vedeva i due Paesi contrapporsi sin dal lontano 1991, rendendo più vicino nel tempo l’ingresso nell’Unione europea e nella Nato.
Atene considerava sino ad oggi l’uso del termine “Macedonia” come parte della propria eredità storica e culturale e non ne ammetteva l’utilizzo per indicare la Repubblica nata dallo sfaldamento dell’exYugoslavia anche per evitare di dare fiato alle mire separatiste dei propri concittadini abitanti nel nord del Paese ellenico.
In un quadro continentale che sembra andare esattamente in senso opposto, la diplomazia di Bruxelles ed il coraggio dei premier greco e macedone sono riusciti per una volta ad avere ragione degli estremismi e dei nazionalismi che pure avevano bloccato ogni velleità di accordo per quasi trent’anni.
Quello che potrebbe apparire al lettore superficiale come un fatto per noi di poco interesse rappresenta in verità una buona notizia anche in vista della Giornata del ricordo che celebreremo domenica 10 facendo memoria delle vittime del dramma delle foibe e dell’esodo fiumano, istriano e dalmata al termine del secondo conflitto mondiale.
Una Giornata ancora troppo declinata al passato: atteggiamento che la porta di conseguenza inevitabilmente ad essere prigioniera di quanti sanno trovare la propria ragione di essere e basare il proprio consenso solo nel mantenere viva la fiamma dell’odio e dell’atavica diffidenza verso chi parla un’altra lingua, professa una religione diversa o è erede di una differente cultura.
Per onorare la memoria di coloro che hanno tragicamente concluso la propria esistenza terrena nelle profondità del Carso o di chi è stato costretto con la violenza ad abbandonare la propria terra, le proprie case e le proprie radici, è necessario proiettare anche questa ricorrenza verso il futuro.
La Giornata del ricordo va considerata, innanzitutto, un’occasione preziosa per insegnare alle nuove generazioni cosa possa provocare la tragica cecità dei leader che – ritenendosi unici depositari della verità e per mero tornaconto personale – si ergono a paladini di nazionalismi e razzismi e dei popoli acclamanti che li seguono in queste loro folli scelte.
L’esempio di quanto accaduto in Macedonia – apparentemente da noi così geograficamente distante ma in verità più che mai vicino – ci fa comprendere come solo un dialogo ed un confronto aperti e privi di pregiudizi e preclusioni permettano di ricomporre le fratture del passato.
L’accordo fra Skopje ed Atene attesta che l’Unione europea non è ormai ridotta solo ad un’utopia nostalgica ma che le sue Istituzioni possono giocare ancora un ruolo importante in percorsi di pace fra popoli che in passato sono stati divisi, specie quando questi sono guidati da leader che sanno essere profeti, sostituendo al mero interesse elettorale personale immediato il futuro dei propri Paesi.
E quando tutto questo avviene in un’area complessa come quella balcanica, assume ancora maggiore un senso di speranza.
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