La vita di ciascuno di noi è un tatuaggio, indelebile, che Dio fa sulle sue mani. Lo ha spiegato il Papa, nell’udienza di ieri, che si è svolta in due tempi: nella basilica di San Pietro, dove Francesco ha incontrato i partecipanti al pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Benevento, meta del suo recente viaggio apostolico in onore di padre Pio da Pietrelcina, e in Aula Paolo VI.
“Non si può vivere tutta una vita accusando la Chiesa”,
il monito: chi lo fa, è parente del diavolo. Al termine dell’udienza, salutando i fedeli di lingua italiana, il Papa ha ricordato la fesa della Cattedra di Pietro, che si celebra il 22 febbraio:
“Pregate per me e per il mio ministero, anche per Papa Benedetto, affinché confermi sempre e ovunque i fratelli nella fede”.
“Non si può pregare come i pappagalli: o entri nel mistero, consapevole che Dio è tuo padre, o non preghi”,
esordisce Francesco in Aula Paolo VI, a braccio. Per capire la paternità di Dio, dobbiamo partire dalla figura dei nostri genitori, ma nello stesso tempo andare oltre, spiega citando il Catechismo della Chiesa cattolica. “Nessuno di noi ha avuto genitori perfetti; come noi, a nostra volta , non saremo mai genitori, o pastori, perfetti”. L’amore di Dio, invece, è quello del Padre “che è nei cieli”: è l’amore totale che noi in questa vita assaporiamo solo in maniera imperfetta.
“Gli uomini e le donne sono eternamente mendicanti di amore”, la tesi di Francesco: “Cercano un luogo dove essere finalmente amati, ma non lo trovano. Quante amicizie e quanti amori delusi ci sono nel nostro mondo!”.
“Il dio greco dell’amore, nella mitologia, è quello più tragico in assoluto: non si capisce se sia un essere angelico oppure un demone”. Nella catechesi di oggi, il Papa trova spazio anche per il Simposio di Platone: l’amore umano è figlio di Poros e di Penía, cioè della scaltrezza e della povertà, e la sua “natura ambivalente” è dovuta proprio al mix della fisionomia dei suoi genitori. “Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce”, l’altra citazione, presa da Osea:
“Quante volte noi uomini abbiamo amato in questa maniera così debole e intermittente”,
l’analisi di Francesco. Perfino la fedeltà di Pietro ha vacillato. Come lui, “siamo mendicanti che nel cammino rischiano di non trovare mai completamente quel tesoro che cercano fin dal primo giorno della loro vita: l’amore”.
Da un altro profeta, Isaia, il Papa attinge per spiegare che “esiste un altro amore”, quello del Padre “che è nei cieli”: “Nessuno deve dubitare di essere destinatario di questo amore”. Francesco paragona la nostra vita ad un tatuaggio:
“Oggi è di moda il tatuaggio: ‘Sulle palme delle mie mani ti ho disegnato’. Ho fatto un tatuaggio di te sulle mie mani. Io sono nelle mani di Dio, così, e non posso toglierlo”.
L’amore di Dio è come l’amore di una madre, che non può mai dimenticarsi di suo figlio: questo, e solo questo, è l’amore perfetto.
“Nella fame d’amore che tutti sentiamo, non cerchiamo qualcosa che non esiste”,
il monito del Papa. Sant’Agostino, “giovane e brillante retore”, cercava tra le creature qualcosa che nessuna creatura gli poteva dare: finché un giorno ebbe il coraggio di alzare lo sguardo. E in quel giorno conobbe Dio, che ci ama di “un amore instancabile”, sempre a portata di mano.
“Nessuno di noi è solo”,
ha concluso Francesco: “Sei figlio amatissimo di Dio, e non c’è niente nella vita che possa spegnere il suo amore appassionato per te”.
0 commenti