Il primo summit della Chiesa per l’azione di contrasto alla pedofilia non si è ancora concluso, ma sicuramente un risultato l’ha già raggiunto. Ha messo “in cattedra” le donne, non più da comparse ma da protagoniste: con il loro stile, inconfondibilmente diverso da quello dei loro colleghi maschi, se solo si dà loro l’occasione di declinarlo, magari davanti ad una platea d’eccezione. È un coro unanime, quello che si leva dalla terza giornata di lavori: delle nove relazioni ascoltate, quelle femminili sono state molto apprezzate, in primo luogo dai 190 partecipanti – come ha riferito padre Federico Lombardi nel briefing odierno – e poi dai giornalisti, che hanno tributato un omaggio sincero e commosso, con un applauso prolungato in sala stampa, a colei che poco prima li aveva rappresentati – tutti, donne e uomini – con esemplare dignità. E il momento più intenso della “tre giorni” che si conclude domani si è registrato ieri sera, quando cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi hanno ascoltato la testimonianza di una donna europea che ha raccontato la sua storia prolungata di abusi perpetrati su di lei, undicenne, per oltre cinque anni da un sacerdote della sua parrocchia.
Tre donne: una sottosegretaria di un dicastero Vaticano, una religiosa africana e una vaticanista di lungo corso al seguito di cinque Papi in 150 viaggi.
Tre storie certamente diverse, ma a loro modo straordinarie. Ed il primo a riconoscerne la portata è stato proprio il Papa, nel suo unico intervento a braccio, subito dopo la prima delle tre relazioni al femminile: quella di Linda Ghisoni, che conteneva, con creatività, molte di quelle “azioni concrete” chieste da Bergoglio fin dall’inizio del summit in Vaticano. Poi è stata la volta della suora nigeriana, Veronica Openibo, che è entrata subito in argomento definendo “inquietante” la “scandalosa negligenza” mostrata troppe volte dalla Chiesa nella crisi degli abusi. Il suo, però – e questo è un tratto tipicamente femminile – non è stato un puntare il dito tirandosi fuori dalla mischia, o tantomeno ergendosi a moralizzatrice di un sistema a dominanza maschile, ma un centrare subito il bersaglio per esortare a togliersi le maschere e a pensare a soluzioni costruttive a fianco delle vittime, a partire dall’ascolto e dall’empatia con la loro condizione.
“La tempesta non si è placata”, “non passerà”, e non possiamo stare tranquilli solo per evitare di sbagliare. “Non dire nulla è un errore terribile”. E l’elenco non si ferma, dagli abusi suor Veronica passa alla necessità di fermare la tratta, di garantire “un’educazione chiara ed equilibrata sulla sessualità” nei seminari, e arriva fino all’urgenza di interrogarsi sull’esistenza di seminari minori. Lo sguardo della donna, come ci insegna Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, è uno sguardo capace di puntare all’interezza dell’umano: è sempre a 360 gradi, non è mai settoriale o a compartimenti stagni, tende per sua natura ad uscire fuori dai ghetti e dai pregiudizi.
Come lo sguardo di Valentina, che ha ripercorso i suoi 45 anni di professione rivendicando il suo ruolo di “rappresentante dei giornalisti, ma anche delle madri, delle famiglie, della società civile”.
“Chi è il figlio più debole, più vulnerabile? Il sacerdote che ha abusato, il vescovo che ha abusato e coperto, o la vittima?”, la domanda stringente che parte da una concezione della maternità come cifra del femminile: non però in senso astratto, disincarnato o idealizzato, ma ancora una volta concreto, di quella squisita concretezza che ha il sapore del Vangelo. “Siete nemici di quanti commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi? Noi abbiamo scelto da che parte stare. Voi lo avete fatto davvero, o solo a parole”. Le conseguenze di questa presa di posizione non sono difficili da prevedere:
“Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte. Possiamo essere alleati, non nemici. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad aver paura di noi, perché noi giornalisti saremo i vostri peggiori nemici”.
E ancora: “Gli abusi contro i minori non sono pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini. Noi giornalisti non siamo né quelli che abusano né quelli che coprono”.Non gioca in difesa, Valentina, gioca in attacco, e lo fa per difendere e restituire pregnanza a tutta la categoria dei giornalisti, uomini e donne insieme: perché la causa delle donne, se correttamente intesa al di là delle sterili rivendicazioni, non è mai divisiva, ma sempre inclusiva, all’insegna della “reciprocità”. Parola che, nella comunità ecclesiale, è ancora troppo volte sostituita dalla ben riduttiva “complementarità” tra uomini e donne. Il primo goal che la Chiesa dovrebbe segnare, sostiene Alazraki da tifosa, è investire sull’informazione, giocando d’anticipo, dando per prima le notizie, anche quando sono scomode e vergognose come nel caso della pedofilia.
La segretezza è legata all’abuso di potere, e oggi c’è ancora “molta resistenza a riconoscere che il problema degli abusi esiste e che occorre affrontarlo con tutti gli strumenti possibili”.
Per capire la portata di quello che è lo sguardo delle donne potremmo imparare, oltre che dalla “parresia” di Veronica e Linda, anche dal coraggio di suor Veronica, che chiamando il Papa “Fratel Francesco” lo ha ringraziato “per essersi preso del tempo per discernere e per essere abbastanza umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire”, nel caso dei vescovi cileni. Le donne non puntano il dito. Hanno l’energia per cambiare le cose trasformando anche i momenti di crisi in opportunità. “Un esempio per tutti noi”: così la religiosa nigeriana ha definito Bergoglio. Lo sarà anche per tutti i suoi confratelli?
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