I conflitti sociali “non sono una patologia della vita sociale ma al contrario la sua fisiologia: una comunità cresce affrontando questi nodi e sciogliendoli con giustizia, viceversa si disgrega se non li affronta o se li risolve in modo iniquo”. Lo ha spiegato poco fa il gesuita padre Francesco Occhetta, redattore della “Civiltà Cattolica”, tenendo oggi pomeriggio a Treviso, all’hotel Maggior Consiglio, l’intervento introduttivo del 4° Seminario nazionale di Pastorale sociale, intitolato “Cercare un nuovo inizio, per una pastorale sociale capace di futuro: lavoro, giovani, sostenibilità”, rivolto in particolare ai direttori degli uffici di Pastorale sociale e alle associazioni interessate.
Padre Occhetta, nella parte conclusiva del suo intervento, intitolato “L’Unità prevale sul conflitto. Essere enzimi nei nostri territori”, ha proseguito: “I conflitti quindi non vanno evitati ma attraversati, sapendo che nella vita di una comunità vale quel che accade anche nella vita personale: o si procede verso il meglio o si arretra, non si rimane mai in equilibrio nello stesso punto di maturazione morale”. I conflitti sociali, per esempio in materia di ambiente e lavoro, diventano importanti dinamiche di “discernimento comunitario”, con dinamiche adatte al tipo di comunità che fa da contesto ai problemi (una cosa è una comunità religiosa, un’altra una comunità civile), che diano soddisfazione alle attese di riconoscimento e alla storia morale dei desideri delle parti confliggenti. Per quanto riguarda il ruolo della della comunità ecclesiale nel contesto più ampio e plurale della comunità civile e dei suoi conflitti nella ricerca del bene comune, padre Occhetta ha invitato a tenere in considerazione tre livelli: le comunità come luoghi di esperienza, di ascolto e discernimento; le comunità come luoghi di ospitalità e di formazione ai servizi di giustizia riparativa; le comunità come luoghi d’incontro, di mediazione e di legami sociali

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