Hanna Jallouf
Le letture di questa domenica ci parlano della necessità di convertirsi per non perire e portare frutti di bene nel mondo. Questi frutti hanno all’origine la chiamata divina, che ci chiede di cambiare il nostro cuore e di aprirlo al suo messaggio di salvezza per essere, nel luogo in cui Egli ci manda, suoi messaggeri. L’esempio ci viene da Mosè, il quale conduceva una vita tranquilla, quando Dio entra nella sua esistenza e gli affida una missione “impossibile”: Liberare Israele.
Mosè, davanti al roveto che non si consuma, è il simbolo dell’uomo davanti alla trascendenza di Dio, e il simbolo dell’accettazione umile della chiamata divina a compiere una missione.
Davanti a questa visione, Mosè deve restare scalzo; il terreno su cui cammina è sacro, è in presenza del Santo del santi. E tale presenza richiede purezza, incontaminazione.
Nulla di ciò che può condurre alla morte può esserci in chi è chiamato da Dio, altrimenti la sua missione rischia di fallire, di diventare vana. Tale purezza è essenziale per fare trasparire Dio; perché in ogni opera condotta nel nome di Dio, è lui che deve essere riconosciuto e non l’uomo.
Anche noi oggi come cristiani, siamo chiamati ad una grande missione “impossibile”, liberare il mondo dal potere del male, dal potere del terrorismo, che aumenta giorno dopo giorno.
La strada inizia da noi stessi, cioè ritornare all’origine della nostra credenza in Cristo Gesù unico Salvatore, combattere il male con il bene e non con le armi, combattere il male con il buon esempio.
Un giorno, un integralista musulmano, parlando con lui, mi disse: “Voi cristiani, vero che non avete portato armi contro di noi, ma ci avete ucciso con il vostro amore e con la vostra carità”.
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