“L’atteggiamento più pericoloso di ogni vita cristiana è l’orgoglio”, e il peccato subdolo più grande è la superbia. Lo ha denunciato il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata sotto la pioggia davanti a 14mila persone radunate in piazza San Pietro, ha spiegato che c’è un “mysterium lunae” in ciascuno di noi, oltre che nella Chiesa: “Nessuno di noi brilla di luce propria”, siamo tutti peccatori. Ecco perché chiediamo nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti”.
“L’atteggiamento più pericoloso di ogni vita cristiana è l’orgoglio”. Ne è sicuro Francesco, che a braccio spiega: “La gente che si sente perfetta, la gente che critica gli altri è gente orgogliosa”. Il cristiano ha bisogno del perdono come del pane: “Questa è la prima verità di ogni preghiera: fossimo anche persone perfette, fossimo anche dei santi cristallini che non deflettono mai da una vita di bene, restiamo sempre dei figli che al Padre devono tutto”. L’orgoglio, invece, “è l’atteggiamento di chi si pone davanti a Dio pensando di avere sempre i conti in ordine con lui: l’orgoglioso crede che ha tutto al suo posto. Come quel fariseo della parabola, che nel tempio pensa di pregare ma in realtà loda sé stesso davanti a Dio: ‘Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri’”. “Al contrario il pubblicano, un peccatore disprezzato da tutti, si ferma sulla soglia del tempio, non si sente degno di entrare, e si affida alla misericordia di Dio”: così, a differenza dell’altro, torna a casa sua giustificato, cioè perdonato, salvato: “Perché non era orgoglioso, riconosceva i suoi limiti”.
“Ci sono peccati che si vedono e peccati che non si vedono, peccati nascosti. Ci sono peccati eclatanti che fanno rumore, ma ci sono anche peccati subdoli, che si annidano nel cuore senza che nemmeno ce ne accorgiamo”. Per il Papa, il peggiore di tutti è la superbia, “che può contagiare anche le persone che vivono una vita religiosa intensa”. Come è accaduto ad un convento di suore famoso ai tempi del giansenismo: “Si diceva di loro che erano purissime come gli angeli ma superbe come i demoni”. È una cosa brutta, la superbia, incalza Francesco: “È il peccato che divide la fraternità, che ci fa presumere di essere migliori degli altri, che ci fa credere di essere simili a Dio”. Invece tutti siamo peccatori: “Se tu vuoi ingannare te stesso, dì che non hai peccato”. “Siamo debitori anzitutto perché in questa vita abbiamo ricevuto tanto”, spiega il Papa: “L’esistenza, un padre e una madre, l’amicizia, le meraviglie del creato… Anche se a tutti capita di attraversare giorni difficili, dobbiamo sempre ricordarci che la vita è una grazia, è il miracolo che Dio ha estratto dal nulla”.
“Nessuno di noi brilla di luce propria. Possiamo amare, ma con la grazia di Dio”. Questo vuol dire che siamo debitori: “C’è quello che i teologi antichi chiamavano un ‘mysterium lunae’ non solo nell’identità della Chiesa, ma anche nella storia di ciascuno di noi”, la tesi di Francesco. “Come la luna, che non ha luce propria, riflette la luce del sole, anche noi non abbiamo una luce propria”, il commento ancora fuori testo: “La luce che abbiamo è un riflesso della grazia di Dio, della luce di Dio”.
“Se ami è perché qualcuno, all’esterno di te, ti ha sorriso quando eri un bambino, insegnandoti a rispondere con un sorriso”, racconta il Papa: “Se ami è perché qualcuno accanto a te ti ha risvegliato all’amore, facendoti comprendere come in esso risiede il senso dell’esistenza”. “Proviamo ad ascoltare la storia di qualche persona che ha sbagliato: un carcerato, un condannato, un drogato”, il suggerimento: “Conosciamo tanta gente che sbaglia nella vita. Fatta salva la responsabilità, che è sempre personale, ti domandi qualche volta chi debba essere incolpato dei suoi sbagli, se solo la sua coscienza, o la storia di odio e di abbandono che qualcuno si porta dietro”. Questo è il mistero della luna: “Amiamo anzitutto perché siamo stati amati, perdoniamo perché siamo stati perdonati. E se qualcuno non è stato illuminato dalla luce del sole, diventa gelido come il terreno d’inverno”.
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