Un Sinodo che “ruota attorno alla vita”: “la vita del territorio amazzonico e dei suoi popoli, la vita della Chiesa, la vita del pianeta”. Così l’Instrumentum laboris, diffuso ieri, definisce l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica – in programma dal 6 al 27 ottobre – in cui sulla scorta della Laudato sì prende corpo il volto di “una delle zone più vulnerabili del pianeta”, dopo l’Artico, in relazione ai cambiamenti climatici che minacciano la sopravvivenza stessa dell’umanità. Il Rio delle Amazzoni è l’arteria di questo continente e del mondo, perché “tutto è connesso”, come si legge nell’enciclica di Papa Francesco: “Il fiume non ci separa, ci unisce, ci aiuta a vivere insieme tra culture e lingue diverse”.
Dai popoli amazzonici, dobbiamo imparare il “buon vivere”,
cioè la capacità di “ vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo”, si legge nel testo, ma la vita in Amazzonia “è minacciata dalla distruzione e dallo sfruttamento ambientale, dalla sistematica violazione dei diritti umani fondamentali della popolazione”, in nome di “interessi economici e politici dei settori dominanti della società odierna, in particolare delle compagnie estrattive, spesso in connivenza, o con la permissività dei governi locali e nazionali e delle autorità tradizionali” degli stessi indigeni. Tra di loro, nell’immenso territorio che comprende 7 paesi e 9 circoscrizioni ecclesiastici, ci sono tra i 110 e 130 diversi Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (Piav) o “popoli liberi”, che “vivono ai margini della società o in contatto sporadico con essa, in un profondo legame con la natura”, i più vulnerabili perché “resistono all’attuale modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida”.
“L’Amazzonia è tra le regioni con la maggiore mobilità interna e internazionale in America Latina”, si legge nell’Instrumentum laboris, in cui l’Amazzonia viene definita
“un corridoio migratorio”, con migrazioni che avvengono tra paesi amazzonici, come l’ondata crescente migrazione dal Venezuela, o verso altre regioni, come il Cile e l’Argentina.
Nella regione, “Tra il 70 e l’80% della popolazione risiede nella città”, e l’urbanizzazione “destabilizza” le famiglie, minacciate inoltre da “nuovi modelli familiari come conseguenza della crisi antropologica in atto”. Senza contare la corruzione delle “grandi aziende” e dei governi: una vera e propria “piaga morale”, di cui si macchiano spesso gli stessi abitanti, che può essere contrastata solo attraverso una “conversione integrale” a livello personale, sociale e strutturale.
“Colonialismo, mentalità economico-mercantilista, consumismo, utilitarismo, individualismo, tecnocrazia, cultura dello scarto”,
sono i “mali” presenti in Amazzonia, accanto a tanti germi di bene. Di qui la necessità di “smascherare le nuove forme di colonialismo; identificare le nuove ideologie che giustificano l’ecocidio amazzonico per analizzarle criticamente; denunciare le strutture di peccato che agiscono in territorio amazzonico; identificare le ragioni con cui giustifichiamo la nostra partecipazione alle strutture di peccato per analizzarle criticamente”.
“La Chiesa deve incarnarsi nelle culture amazzoniche che possiedono un alto senso di comunità, uguaglianza e solidarietà, per cui il clericalismo non è accettato nelle sue varie forme di manifestarsi”. È quanto si raccomanda nel quarto capitolo, dedicato all’organizzazione delle comunità ecclesiali, in cui si propone di “riconsiderare l’idea che l’esercizio della giurisdizione (potere di governo) deve essere collegato in tutti gli ambiti (sacramentale, giudiziario, amministrativo) e in modo permanente al Sacramento dell’Ordine”. Di qui la necessità di
creare “ministeri appropriati”, cioè “nuovi ministeri per rispondere in maniera efficace ai bisogni dei popoli amazzonici”.
“Promuovere vocazioni autoctone di uomini e donne in risposta ai bisogni di un’attenzione pastorale sacramentale”, la proposta del nuovo documento. “Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la
possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile,
al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana”, l’altra proposta in merito a quella che finora veniva definita la questione dei “viri probati”.
“Identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica”, si propone infine nel documento, garantendo ad esse “la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia e scuole di fede e di politica”, in modo che “anche che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisionali, e che possano così contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale”.
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