“Si può dire che la Chiesa venezuelana sia perseguitata? Di sicuro non si può dire che non lo sia”. Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) il card. Baltazar Porras, arcivescovo di Merida, amministratore apostolico di Caracas e presidente di Caritas Venezuela.
Incontrando una delegazione della Fondazione pontificia nella capitale venezuelana, il porporato denuncia le fortissime pressioni, limitazioni e finanche intimidazioni messe in atto dal governo Maduro nei confronti della Chiesa locale: “Vi sono delle restrizioni ai danni delle scuole cattoliche, che paiono avere lo scopo di costringere la Chiesa a chiudere i propri istituti. Inoltre, da anni gli operatori e i rappresentanti di organizzazioni benefiche come la Caritas subiscono minacce verbali e aggressioni”. Perfino le parrocchie sono ormai nel mirino dei cosiddetti “collettivi” filogovernativi. “Nei quartieri popolari di Caracas – spiega il cardinale – i collettivi si riuniscono alle porte delle chiese per ascoltare l’omelia del parroco. E se il sacerdote dice qualcosa che a loro non piace danno inizio a minacce e intimidazioni”.
In un Paese in cui ormai “tutte le istituzioni pubbliche e private sono state distrutte”, la Chiesa è l’unico punto di riferimento di una popolazione allo stremo: “Siamo vicini alla gente e presenti ovunque ci sia bisogno. Inoltre, la Chiesa è l’unica ad avere il coraggio di sottolineare le mancanze di questo regime. Gli altri attori sociali non osano parlare di questa crisi, perché il governo li minaccia, chiude i media e attacca le aziende”.
Il porporato aggiunge: “Viviamo una situazione atipica e senza precedenti, che non è effetto di un conflitto armato, né di una catastrofe naturale, ma che ha degli effetti del tutto simili a quelli di una guerra. Il regime politico che guida il Venezuela ha distrutto il Paese generando un conflitto sociale le cui conseguenze vanno accentuandosi ogni giorno di più”. Il card. Porras pone altresì l’accento sull’inedito massiccio esodo di venezuelani, mai verificatosi in simili proporzioni: “Sono già emigrati quattro milioni di cittadini: 1,5 milioni in Colombia, 700mila in Perù, 400mila in Cile, 500mila in Florida e tanti altri in Europa e in diversi Paesi d’America”.
Poche le speranze, nonostante i colloqui delle scorse settimane ad Oslo e quelli previsti alle isole Barbados nei prossimi giorni: “Bisogna capire che negli ultimi vent’anni, quando il governo è stato in difficoltà, ha più volte fatto appello al dialogo, ma al solo scopo di prendere tempo. Perché il governo non ha la sincera volontà né di negoziare né concedere nulla”. La popolazione, spiega il porporato ha ormai perso fiducia e teme un inasprimento della repressione: “Siamo molto preoccupati, dopo il fenomeno di Guaidó, il numero di persone arrestate, torturate, uccise e scomparse è aumentato e queste azioni non coinvolgono soltanto il personale militare di alto rango, ma anche i civili”.
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