Il professor Giorgio Campanini (nella foto), sociologo e storico delle dottrine politiche, non ha dubbi su quali linee si muoverà il primo Papa gesuita: “La stessa scelta del nome sta a indicare una precisa volontà riformatrice… E attraverso la ‘ricostruzione’ di una Chiesa che, se non è materialmente in rovina, ha bisogno, come sempre, di essere purificata e rinnovata”. E poi “una chiara scelta di povertà, dal momento che dire Francesco, anche alla luce dei suoi rapporti spesso conflittuali con le strutture ecclesiali del tempo, significa fare della comunità cristiana una ‘Chiesa dei poveri’, in linea con le indicazioni del Vaticano II”.
Professor Campanini, l’elezione di un Papa che è religioso e gesuita è stata una vera sorpresa. Cosa può significare per il dinamismo interno alla Chiesa tra la gerarchia e i carismi religiosi?
“Non è facile cogliere sin da questo momento, in attesa di un futuro discorso nel quale saranno delineati più chiaramente i fondamentali punti programmatici del suo pontificato, su quali linee si muoverà il primo Papa gesuita della storia. Sin da ora, tuttavia, si può ritenere che la stessa scelta del nome stia ad indicare una precisa volontà riformatrice: in una prima direzione, a partire dal noto episodio della biografia del santo di Assisi, attraverso la ‘ricostruzione’ di una Chiesa che, se non è materialmente in rovina, ha bisogno, come sempre, di essere purificata e rinnovata. In una seconda direzione attraverso una chiara scelta di povertà, dal momento che dire Francesco, anche alla luce dei suoi rapporti spesso conflittuali con le strutture ecclesiali del tempo, significa fare della comunità cristiana una ‘Chiesa dei poveri’, in linea con le indicazioni del Vaticano II”.
I Gesuiti hanno, come tutti i religiosi, il voto di obbedienza al proprio Superiore “interno” e, in aggiunta, il famoso “quarto voto” di obbedienza e fedeltà assoluta al Papa. In questo caso, con Papa Francesco, si crea così una sorta di corto circuito, per cui i due livelli vanno come a sovrapporsi. C’è il rischio di una qualche forma di “ingorgo” a livello di diritto canonico?
“Questo tema formerà forse la ‘delizia’ degli interpreti delle ‘regole’ e tradizioni ecclesiali. Alla fine, tuttavia, l’unica obbedienza che realmente conta è quella a Dio e alla propria coscienza”.
Già stanno diffondendosi interpretazioni “progressiste” o “conservatrici” della figura di Papa Bergoglio. Chi lo dipinge come “Papa degli oppressi”, chi come il “reazionario” che difende valori considerati “anti-moderni” quali la sacralità della vita e l’intangibilità del matrimonio. Cosa può significare questo per la Compagnia di Gesù al cui interno, nel corso del tempo, si sono manifestati orientamenti a volte in una direzione, a volte nell’altra?
“La Compagnia di Gesù ha conosciuto, nel corso della storia, non poche oscillazioni tra tendenze conservatrici (si pensi a certa teologia del Seicento) e atteggiamenti decisamente progressisti (come nel caso delle scelte operate dalla Congregazione al tempo di padre Arrupe). Forse per la Compagnia di Gesù è giunto il momento di realizzare una lucida mediazione fra la grande ‘tradizione’ e le urgenze del nostro tempo, ed il nuovo Papa ne sarebbe la guida in questa difficile navigazione”.
Il fatto che il nuovo Papa venga dal Sud del mondo è stato da taluni salutato come una grande occasione di riscatto e slancio della Chiesa nei popoli poveri; da altri è stato letto come il segno che la stessa Chiesa non ha di fatto più nulla da dire e da dare ai popoli “ricchi” e quindi non le rimane che l’evangelizzazione dei poveri. Come riflettere su queste due “letture”?
“Per la prima volta un Papa è espressione del ‘Sud del mondo’, e questo fatto non sarà senza incidenza sulla vita della Chiesa. Non si tratta di privilegiare l’una o l’altra area della cattolicità, ma di affrontare urgenze; e forse quelle dell’America latina di oggi, un’area in cui vivono comunità cattoliche numericamente imponenti ma non sempre pienamente consapevoli di sé e proprio per questo soggette alle tentazioni delle sètte, è proprio una priorità sotto il profilo della ‘nuova evangelizzazione’”.
Tra populismo e prospettiva socialista da un lato e elogio della intraprendenza e creatività individuale dall’altro, in prospettiva liberale, la figura del nuovo Papa ha mostrato, quando era vescovo a Buenos Aires, di essere chiaramente dalla parte dei poveri, ma di spronare gli uomini a mettere a frutto i doni personali, secondo i canoni di una società libera e intraprendente. Come leggere, da questo punto di vista, la visione di Papa Francesco?
“‘Populismo’, ‘prospettiva socialista’, ‘terzomondismo’ sono oggi categorie un poco desuete, anche se la loro eredità sotto molti aspetti permane. Ma forse è venuto per la Chiesa il tempo di aprire una nuova stagione nella quale al centro della sua azione non stiano più i vari ‘ismi’, anche ecclesiali talvolta, ma la concretezza dei diritti umani e dunque la suprema dignità della persona, una dignità da rifondare di continuo dal punto di vista teologico e antropologico e, nello stesso tempo, da tradurre in concreti istituti storici e in adeguati e giusti progetti di società. Un Papa che, come Francesco, ha conosciuto in Argentina il dramma dell’oscuramento dei diritti umani, appare particolarmente indicato a fare della Chiesa il luogo eminente in cui la centralità dell’uomo è riconosciuta ed affermata, e di lì si espande sino a raggiungere tutta intera la società, aprendo così una nuova ed auspicabile ‘stagione dei diritti’: non astrattamente conclamati, ma praticati e tradotti in corrispondenti scelte politiche. Come sempre, amava ricordarlo Giovanni Paolo II, è l’uomo la via della Chiesa”.
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