Daniele Rocchi

“Sii una candela di pace che illumina le tenebre della violenza”: il poster copre un’intera parete della sede del “Volunteers and Peace Building Programme”. Siamo nella zona centrale di Baghdad, non lontano dall’arcivescovado latino della capitale. Qui si ritrovano quotidianamente i giovani volontari del programma promosso, sin dal 2005, da Caritas Iraq con il sostegno di Caritas Italiana e di Missio Germania. Sono oltre 200, sparsi anche nel nord del Paese.

Aida Emanuel, Caritas Iraq

Aida Emanuel, la responsabile, accoglie una delegazione di Caritas Internationalis e di altre Caritas europee (Italia, Belgio, Spagna e Germania) e del Crs (Catholic Relief Services, Usa), nei giorni scorsi a Baghdad per un meeting promosso da Caritas Iraq: “in quelle parole – dice indicando il poster – c’è tutto il senso del nostro impegno e del nostro lavoro”.

“Cerchiamo di gettare semi di cittadinanza

e di coesistenza pacifica, aiutare i più poveri, favorire l’eguaglianza dei diritti, far crescere la responsabilità dei cittadini nella società civile”. Ingredienti di una ricetta che punta ad aiutare l’Iraq a uscire dalla crisi in cui versa dopo la guerra del 2003 (Iraqi freedom) scatenata dagli Usa per abbattere il regime di Saddam Hussein, e successivamente a causa degli scontri settari tra sciiti e sunniti fino ad arrivare, nel 2014, all’invasione dell’Isis.

Oggi le sfide dell’Iraq si chiamano “mancanza di lavoro per i giovani, povertà, instabilità politica, corruzione, settarismo, insicurezza, crescente tasso di malattie psicologiche e sociali soprattutto tra le donne e frammentazione sociale e familiare”. “Lo Stato Islamico – afferma la coordinatrice – ha diviso ancora di più il nostro popolo che ha smarrito molti dei suoi valori spirituali, morali e sociali. Avvertiamo forte il bisogno di ricostruire la nostra comunità e di crescere in solidarietà.

volontari del “Volunteers and Peace Building Programme” (Baghdad)

Questo potrà avvenire solo a partire dalle nuove generazioni. “Volunteers and Peace Building Programme” punta a formare giovani di ogni fede ed etnia capaci di trascinare altri coetanei in questo cammino di resilienza e di cittadinanza. Il fatto che molti dei nostri giovani volontari sono, o sono stati, sfollati a causa delle guerra è un valore aggiunto alla loro azione.

Sono sentinelle che vegliano sui nostri concittadini e sui loro bisogni”.

Restare in Iraq. In questi giorni i volontari sono impegnati in un volantinaggio in strada per promuovere il diritto alla salute. Le magliette rosse dal logo significativo – un cuore bianco con una mano grande che ne accoglie una più piccola – catturano l’attenzione della gente che cammina.

Qualcuno si avvicina scambia una battuta, prende il volantino e va via, altri passano dritti senza fermarsi. “Portare avanti questi programmi – aggiunge Aida – per noi significa anche aiutare la nostra gente a restare in Iraq. Vogliamo far rinascere nei cuori della popolazione l’amore per il proprio Paese”. La risposta migliore al diffuso settarismo. Nella sede, invece, si alternano altri giovani operatori e operatrici per animare i laboratori di sartoria, di estetista, di disegno tecnico, rivolti a decine di donne e ragazze più vulnerabili. Fadi, il responsabile dei volontari, ci tiene a precisare che “in questo modo cerchiamo di restare in contatto con tutti settori della società irachena per costruire ponti di dialogo e ristabilire fiducia tra i diversi gruppi etnici. Il volontariato sparge semi di impegno, di cittadinanza e di amor patrio”.

“La coesistenza spinge avanti l’Iraq”.

I numeri sembrano dargli ragione visto che i beneficiari del programma “Peace Building” arrivano a oltre 14mila persone in tutto l’Iraq. In costante crescita. “Oggi ci sono due team di volontari a Zakho, uno ad Ankawa, nell’Iraq settentrionale (Kurdistan iracheno). Altri ne stanno nascendo”. “Abbiamo attivato dei programmi di assistenza psicologica per persone traumatizzate dalla guerra, adottato famiglie povere, consegnato pacchi viveri e medicine, organizzato incontri tra persone di diverse fedi”.

Nel campo Zaiouna. Un’attenzione particolare i volontari del “Peace Building programme” la riservano agli sfollati del campo Zaiouna dove risiedono 75 famiglie (oltre 400 persone) cristiane di Mosul. Sono qui da oltre due anni, attendono di fare rientro nelle loro case ma finora senza esito. Non ci sono tende ma container o ‘shelter’ (rifugi) e una grande tensostruttura dove decine di bambini si ritrovano per giocare e seguire le catechesi.

“Il numero dei cristiani – dice Aida – è diminuito molto. La mancanza di stabilità, di sicurezza e di lavoro ha spinto molte nostre famiglie a partire per cercare fortuna in Canada, Australia e Usa. I residenti del campo, grazie all’aiuto di Caritas Iraq e dei suoi partner, seguono dei corsi di sostegno psicologico.

I traumi provocati dalla guerra e dallo Stato islamico sono profondi. La medicina migliore per i bambini è il gioco e la scuola. Ed è quello che cerchiamo di proporre. Aiutare le famiglie cristiane a restare significa anche preservare la presenza cristiana nel Paese. I cristiani vogliono partecipare da protagonisti alla ricostruzione dell’Iraq”.

Il tendone si è riempito di bambini. “Sono tante piccole candele di pace – dice Fadi – che rischiarano le tenebre di una vita trascorsa tra violenza e incertezza sul futuro”. I volontari hanno preparato giochi e regali per un pomeriggio di festa. In attesa di farne una più grande “a Papa Francesco quando verrà il prossimo anno in Iraq. Sarebbe un sogno poterlo abbracciare”.

 

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