M.Michela Nicolais
“Lavorare su un pianeta più caldo” porterà alla perdita di 80 milioni di posti di lavoro entro il 2030 e di 2400 miliardi di dollari a livello mondiale. A sancirlo è l’Organizzazione mondiale del lavoro (Ilo), in uno studio che porta questo titolo. Secondo l’organismo delle Nazioni Unite, l’impatto dello stress termico sulla produttività lavorativa si aggiunge agli altri effetti legati ai cambiamenti climatici, tra i quali la modificazione del regime delle piogge, la crescita dei mari e la perdita della biodiversità. A livello geografico, una delle zone del pianeta che rischia di più a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici è l’Amazzonia: l’Istituto nazionale di ricerca spaziale brasiliano (Inpe) ha fatto presente come nel mese di giugno la foresta pluviale abbia perso 762 chilometri quadrati di foresta rispetto ai 488 dello stesso mese del 2018.Il Brasile, sottoscrivendo l’Accordo di Parigi del 2015 (Cop 21) si è impegnato a porre fine alla deforestazione illegale in Amazzonia entro il 2030. La foresta amazzonica è il “polmone verde” del pianeta: da sola assorbe fino a due miliari di tonnellate di biossido di carbonio all’anno e rilascia il 20 per cento dell’ossigeno della Terra. Sono questi dati a fare da sfondo al prossimo Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre 2019), di cui il 17 giugno è stato diffuso l’Instrumentum laboris.
Vulnerabilità e “buon vivere”. L’Amazzonia è un’area di quasi 8 milioni di chilometri quadrati che comprende 9 Paesi e contiene il 40% della superficie globale delle foreste tropicali. Gli ecosistemi amazzonici ospitano dal 10 al 15% di tutte le biodiversità della terra. I popoli autoctoni sono 380, parlano 86 lingue e un centinaio di essi vivono nascosti: sono i popoli indigeni in isolamento volontario (Piav), che però nel loro insieme non superano i 4 milioni, su 34 milioni di persone che vivono nell’area. La scommessa del Sinodo è riconoscere la Chiesa come soggetto unitario “che non è stato sufficientemente considerato nel contesto nazionale o mondiale né nella vita della Chiesa”, come si legge al n. 2 dell’Instrumentum laboris. La vulnerabilità, in Amazzonia, va di pari passo con quello che nel documento viene definito il “buon vivere”: la sapienza ancestrale della popolazione, che si esprime nell’armonia con se stessi, con gli altri, con la natura e con l’essere supremo. Un esempio di “connessione” tra valori materiali, umani e trascendenti – nel testo preparatorio al Sinodo viene definita “cosmovisione” – che rimane un tratto distintivo in un’area del mondo minacciata da aggressioni come ”l’assassinio dei leader, la privatizzazione dei beni naturali, le concessioni a grandi aziende per il disboscamento, i megaprogetti idroelettrici, l’inquinamento, il narcotraffico” (n. 14-15). Senza contare i due grandi capitoli delle migrazioni – pendolari, spostamenti forzati, migrazioni volontarie, migrazioni internazionali, urbanizzazione – e della corruzione, vera e propria “piaga morale” che crea “una cultura che avvelena lo Stato e le sue istituzioni permeando tutti gli strati sociali, comprese le comunità indigene” (n. 82).
Il ruolo delle donne e la mancanza di sacerdoti. Suor Dorothy Stang è stata uccisa il 12 febbraio 2005 a Speranza, nello Stato del Parà, Brasile profondo. “So che vogliono ammazzarmi, ma io non me ne vado. Il io posto è qui con questa gente che è continuamente umiliata da quanti si ritengono potenti”, le parole pronunciate quando già presagiva il suo martirio. Suor Dorothy viene citata nell’Instrumentum laboris, in cui otre ai tanti martiri si rende omaggio alle tante donne che in Amazzonia stanno accanto alla loro gente, condividendone – come i tanti martiri di questa terra – le lotte per il riconoscimento della loro dignità. “Creare nuovi ministeri” per laici e donne e studiare la possibilità di “ordinazione sacerdotale di anziani rispettati dalla comunità”, tra le proposte pastorali al vaglio dei padri sinodali. Le 300 comunità amazzoniche, in media, possono contare sulla presenza di un sacerdote ogni 300mila chilometri quadrati: in pratica, ciò significa poter partecipare alla Messa una volta all’anno. “Se l’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa, allora noi non siamo cattolici!”, la provocazione lanciata di recente da mons. Flavio Giovenale, vescovo di Cruzeiro do Sul in Brasile.
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