“I problemi dell’Amazzonia sono i problemi del pianeta, riguardano tutti e non riguardano solo una terra o una cultura”. Parte da qui Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, per approfondire i temi che saranno al centro del Sinodo sull’Amazzonia che si svolgerà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre prossimi.
Fratel Enzo Bianchi, per una serie di motivi, anche di cronaca recente, l’Amazzonia da luogo ben definito e a noi distante è diventato invece rappresentativo dell’intero mondo. Cosa possiamo aspettarci come Chiesa e come occidentali da questa Chiesa sorella convocata in Sinodo?
L’atteggiamento che i cristiani possono avere verso questa terra, verso queste popolazioni, verso questa cultura dev’essere di modello per tutti i rapporti tra la Chiesa e le culture.
In che senso?
Il fenomeno della fede che si deve inculturare nelle genti, nei popoli, è un fenomeno al quale nel passato abbiamo prestato poca attenzione.
Il Papa ci chiede di fare una revisione e di chiederci davvero come un popolo può esprimere la sua fede, la sua liturgia, la sua vita cristiana in termini che le sono propri. È un’esaltazione della diversità nell’unità cattolica, è mettere l’accento sul fatto che lo Spirito Santo è sempre multiforme, come la Sapienza di Dio è multicolorata secondo quanto dice la Scrittura.
Si tratta di un bel cambiamento…
È una grande sfida, non è facile. Il Papa ha indicato questo orizzonte profetico, ci sono delle reazioni e delle contraddizioni a questo cammino, delle polemiche. Però credo che sia un cammino doveroso, cristiano.
Nel Papa non c’è altro desiderio dell’evangelizzazione di tutte le genti, di tutte le culture. Noi dobbiamo metterci in questo cammino, seppur in ritardo e magari con difficoltà e fatica.
Anche nell’Instrumentum laboris si parla più volte di una “Chiesa profetica”. In che modo il Sinodo sull’Amazzonia potrà aiutarla ad assumere questo profilo?
Nella misura in cui saranno delineati, per esempio, la comunità cristiana, i ministeri, la diaconia al suo interno. Ma anche nella misura in cui saranno aperte strade di liturgia con modi di celebrare più adeguati alla cultura, al popolo. Questo è qualcosa che riguarda tutti. Anche noi in Italia dobbiamo chiederci cosa significhi celebrare la liturgia nel 2019. Avremo certamente delle revisioni da fare, dare una dinamica, un nuovo modo che possa incontrare gli uomini d’oggi.
Se là hanno il problema di quelli che non diventano cristiani, noi abbiamo quello delle nuove generazioni che alla messa non van più e non sentono nessuna attrattiva da parte della liturgia cattolica. Cosa vogliamo fare? Accettare il dato di fatto o ripensare per poter dialogare anche liturgicamente con le nuove generazioni.
Lei, che ha partecipato al Sinodo del 2018, conosce bene le dinamiche della discussione e del discernimento tra i partecipanti. Quali saranno, dal suo punto di vista, gli aspetti decisivi?
Il problema è il cammino delle Chiese, se sono o meno capaci ad un discernimento comunitario. Perché tutto richiama al discernimento: il Papa, il Sinodo, anche la letteratura teologica. Ma poi si aprono davvero dei cammini di discernimento comunitario, che sono una novità nella Chiesa? Perché su quello personale si è riflettuto e lo si è anche esercitato soprattutto negli ultimi secoli. Ma quello comunitario, ecclesiale, che poi è sempre un discernimento sinodale, è un cammino tutto da creare, da inventare. E
quando un cammino dev’essere fatto da un popolo, è un cammino lungo, richiede tempi lunghi, educazione, maturazione, assunzione di nuove forme.
È un nuovo cammino, il Papa ce lo ha indicato come la frontiera del terzo millennio.
Nel Sinodo sull’Amazzonia si parlerà ovviamente anche di ambiente e di “ecologia integrale”…
Questa è stata la profezia di Papa Francesco. Prima avevamo quelli che pensavano all’ecologia, i “verdi”, e non riuscivano a pensare ai poveri. E quelli che pensavano ai poveri e che avevano piuttosto delle linee sociali ma non mettevano in conto l’ecologia. Con la Laudato si’, il Papa è riuscito a far vedere che sono due facce della stessa medaglia.
Il futuro della terra riguarda i poveri, il futuro dei poveri riguarda la terra.
Nell’Amazzonia abbiamo questi due temi che si incrociano: da un lato la custodia della nostra terra, che è nostra Madre; dall’altro, come i poveri su questa terra possano trovare una dimora, un’abitazione nella giustizia e nella pace.
Temi sui quali il Santo Padre non manca di insistere…
È il grande orizzonte profetico indicato da Francesco. Il Papa, credo, ha indicato tre orizzonti: all’interno della Chiesa, la sinodalità; con tutta l’umanità, la fraternità; e il terzo, che riguarda tutto il mondo, tutta la creazione, tutta la Terra, è il problema ecologico e della giustizia. Sono le tre sfide, i tre orizzonti del terzo millennio, che il Papa con profezia ha saputo individuare e indicarci.
Saremo all’altezza della sfida?
Spero di sì. Il Papa ha una forza, credo che qualcuno cominci a capire anche ai bordi della Chiesa e pure fuori. Può darsi che si apra una sinergia, oserei dire, più ampia dei cattolici verso queste mete.
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