“I diritti ambientali e l’importanza della comunicazione”. Sono due temi “mai toccati prima” ed emersi durante la nona Congregazione generale del Sinodo per l’Amazzonia, a cui hanno partecipato 179 padri sinodali e che si è aperta con la preghiera del Papa per l’Ecuador, già al centro dell’Angelus ha riferito Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’informazione, ha reso noto che riguardo al tema dell’informazione in aula “si è parlato dell’importanza della crescita comunicativa dell’Amazzonia, anche tramite strutture organizzative adeguate, valorizzando i mezzi di comunicazione cattolici e formando comunicatori autoctoni, per rafforzare la rete territoriale e costruire reti di solidarietà”.
“Il nostro benessere ha un prezzo molto alto, in termine di vite umane, di sicurezza, di pace, di questione ecologica”, ha denunciato Josianne Gauthier, segretaria generale Cidse (Alleanza Cattolica internazionale di Agenzie di sviluppo), spiegando come la sua associazione sia nata “per difendere i diritti degli indigeni e promuovere un’ecologia integrale”. Si parte dall’ascolto, ha spiegato, per “portare la voce degli indigeni a livello politico, anche nei trattati vincolanti sui diritti umani, come quelli firmati dall’Onu. Vogliamo arrivare nei luoghi ufficiali dove c’è il potere, portando il messaggio del Sinodo nei vari spazi politici dove operiamo”. Tra le proposte, “la creazione di un osservatorio ecclesiale internazionale sulla violazione dei diritti umani delle popolazioni amazzoniche”.
“Se il Papa decidesse per l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati saprei già chi indicargli”.
Parola di mons. Carlo Verzeletti, vescovo di Castanhal, in Brasile, che, intervenendo al briefing di oggi sul Sinodo per l’Amazzonia, ha affrontato anche la questione dei “viri probati”, al centro dell’attenzione dei 184 padri sinodali fin dall’inizio dei lavori. “Quando parlo di ordinazione sacerdotale di uomini sposati – ha precisato il presule – non penso a sacerdoti di seconda categoria, ma a persone preparate che abbiano una vita esemplare”. “Quanti sacerdoti buoni abbiamo, ma anche quanti sacerdoti clericalizzati, come dice il Papa, che pensano solo a se stessi!”, ha esclamato il presule. In Brasile, ha testimoniato, “abbiamo uomini eccezionali, con una vita eucaristica costante: uomini che desiderano il bene per gli altri, che vivono per gli altri”. “Trovare uomini che vivano l’Eucaristia nel quotidiano è un criterio fondamentale per dire: questo è un modo per celebrare”, l’indicazione di Verzeletti, che ha descritto quello amazzonico come “un popolo distrutto nei suoi valori, a causa del secolarismo, dell’indifferenza religiosa, della violenta invasione della Chiesa pentecostale”. Nella sua diocesi, ad esempio, “ci sono oltre 50 chiese pentecostali e solo 50 chiese cattoliche. E in ognuna delle chiese pentecostali il prete è sempre presente e riconosciuto come tale”. “Abbiamo persone degne di essere ordinate sacerdote”, ha ribadito il presule in merito alla questione dei “viri probati”: “Speriamo che il Papa possa guardare con affetto questa realtà”. “Ci stiamo molto impegnando sulla formazione”, ha aggiunto: “Abbiamo 110 diaconi permanenti e cerchiamo di promuovere il protagonismo dei laici”. Verzeletti è da 38 ani in Brasile e dal 1996 è vescovo in Amazzonia: la sua è una diocesi recente, istituita 14 anni fa da Giovanni Paolo II vicino alla foce del Rio delle Amazzoni, affacciata sull’Oceano. Oltre 800mila gli abitanti, distribuiti in 1.100 villaggi. “Non possiamo ridurre il prete ad un distributore di sacramenti poche volte l’anno”, il grido d’allarme del vescovo: “I preti devono correre da una parte all’altra e possono incontrare le comunità al massimo 4-5 volte l’anno. Non hanno il tempo di seguire la vita del popolo, di stare in mezzo alla gente, di offrire una vera cura pastorale”. Di qui l’importanza di “ordinare uomini sposati per il ministero sacerdotale, affinché l’Eucaristia sia una realtà vicina alle nostre comunità e le persone possano essere accompagnate”.
“Siamo i martiri dell’Amazzonia, nessun Paese sfugge”.
Lo ha detto José Gregorio Díaz Mirabal, presidente del Congresso delle organizzazioni indigene amazzoniche. Citando le numerose sollevazioni dei popoli indigeni finite con un bagno di sangue – dall’Ecuador al Brasile e al Venezuela – Díaz ha commentato: “Siamo popoli chiamati a cercare alleanze per proteggere la nostra vita. Quello che sta succedendo ora in Ecuador può essere applicato a tutto il bacino amazzonico”. Nella regione panamazzonica, ha testimoniato mons. José Ángel Divassón Cilveti, già vicario apostolico di Puerto Ayacucho e vescovo titolare di Bamaccora, “quasi sei milioni di indigeni sono andati via semplicemente per sopravvivere. Senza contare quelli che sono stati massacrati per lo sfruttamento della terra o le attività estrattive minerarie. In Amazzonia ci sono 35 multinazionali che lavorano senza controllo e senza autorizzazioni”. Di qui l’importanza di cercare “cammini comuni”, come vuole fare il Sinodo, in una prospettiva di “dialogo interculturale”. Come quello intessuto dai salesiani con il popolo indigeno degli Yanomani, ha raccontato il vescovo: “Abbiamo condiviso la vita delle comunità, senza pretendere di dire loro cosa fare: non come colonialisti, ma con rispetto e nella consapevolezza che sono loro a dover tenere le redini del proprio destino”.
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