Tre minuti per la vita e per la pace. Molti in Colombia, lunedì scorso, hanno accolto l’invito della Chiesa colombiana, in seguito ai massacri che hanno colpito il dipartimento del Cauca e in particolare il popolo indigeno Nasa.
“La situazione è molto seria. Siamo andati lì per condividere il cammino degli indigeni e dire loro che li amiamo, che siamo disposti a dare tutto per accompagnarli, che non sono soli “, ha detto mons. Luis José Rueda Aparicio, arcivescovo di Popayán, durante la visita a Tacueyó, nel municipio di Toribio, in compagnia dell’arcivescovo di Cali, mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, e della carovana per la solidarietà e la vita che è arrivata fino al luogo dove la scorsa settimana è stata massacrata la governatrice indigena Cristina Bautista, assieme a quattro guardie indigene. Una scia di sangue che ha avuto un seguito nei giorni successivi.
“È una situazione non solo grave: dobbiamo usare il superlativo, è gravissima. Dobbiamo fermare questi omicidi. Crediamo che ci siano forze che stanno cercando di distruggere la vita, perché gli indigeni stanno prendendo delle posizioni per liberare dal narcotraffico questa regione e stanno trovando proiettili, martirio e morte”, ha affermato mons. Rueda, che ha anche rivolto un appello a tutto il Paese, alle autorità, ai leader: “Uniamoci, non polarizziamoci, non dividiamoci, costruiamo unità. Il bene comune e la vita ferita hanno bisogno di tutti noi”.
A questa chiamata si è unito l’arcivescovo di Cali, da tempo particolarmente esposto nel suo impegno per la pace e nella denuncia contro le bande criminali. Mons. Monsalve ha sottolineato che questo “è un dramma, è una tragedia, a cui nessun colombiano può rimanere indifferente”.
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