Sono passati trent’anni: il 16 novembre 1989, una settimana dopo la caduta del Muro di Berlino, sei gesuiti e due loro collaboratrici vennero barbaramente uccisi da una milizia paramilitare all’interno dell’Università gesuita centroamericana José Simeón Cañas (Uca) di San Salvador.
Erano gli anni della guerra civile e degli squadroni della morte. I paramilitari, usando fucili di fabbricazione sovietica, cercarono di far ricadere le responsabilità del massacro sui ribelli marxisti del Fmln (Fronte Farabundo Martí per la liberazione nazionale). A perdere la vita furono il rettore dell’Università, lo spagnolo Ignacio Ellacuría, i confratelli iberici Segundo Montes, Armando López, Ignacio Martín Baró e Juan Ramón Moreno e il salvadoregno Joaquin López, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Da molti il gesto fu interpretato come un tentativo di decapitare le “menti pensanti” in un Paese oppresso. A salvarsi fu il teologo Jon Sobrino, in viaggio in Thailandia. Dopo la morte dei “martiri della Uca” fu padre Michael Czerny, creato poche settimane fa cardinale, a raccoglierne l’eredità, dirigendo fino al 1991 l’Istituto per i diritti umani dell’Uca. Numerosi gli appuntamenti promossi dall’Università Uca a San Salvador: due mostre, un convegno proprio con Czerny e Jon Sobrino, che si è tenuto ieri, cui ha fatto seguito una celebrazione liturgica. Oggi ulteriori incontri e l’inaugurazione di un murales commemorativo.

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