FIRENZE – Un restauro a cielo aperto per la Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo a Firenze. L’intervento, commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, sarà finanziato dalla Fondazione Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza Abap per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. A dirigere i lavori, la restauratrice fiorentina Paola Rosa, con alle spalle una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso, che si avvarrà dell’aiuto e della consulenza di un’equipe di professionisti.
I lavori inizieranno oggi, sabato 23 novembre, per concludersi entro l’estate del 2020, ma la particolarità sta nel fatto che il pubblico avrà la possibilità di vedere tutte le fasi del restauro grazie ad un cantiere “aperto”, progettato appositamente, nel Museo dell’Opera del Duomo, dove il gruppo scultoreo è attualmente conservato.
Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, l’opera marmorea realizzata da Michelangelo tra il 1547 e il 1555 circa, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due – quella giovanile vaticana e la successiva “Rondanini” – il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto.
Il restauro sarà rispettoso della visione oramai consolidata dello stato attuale dell’opera, in particolare delle patine che nel tempo con il loro naturale processo d’invecchiamento hanno trasformato la cromia originaria del marmo. Non risultano specifici interventi di restauro avvenuti in passato (se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565), è però presumibile che l’opera sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che non risultano documentati probabilmente perché considerati semplici operazioni di routine.
Degna di un romanzo, la storia della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo, o Pietà Bandini. Le fonti raccontano che il celebre artista toscano non solo non volle portarla a termine ma addirittura tentò di distruggerla in un momento di sconforto. L’opera ormai danneggiata fu donata dallo stesso Michelangelo al suo servitore Antonio da Casteldurante, il quale, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vendette al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi che la pose nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. L’opera tornerà a Firenze nel 1674 ma solo nel 1722 Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della cattedrale di Santa Maria del Fiore, dove resterà fino al 1933 quando gruppo scultoreo verrà spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più visibile. Dal 1981 si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.
La Pietà di Firenze, capolavoro di Michelangelo “è considerata come altre sculture del Buonarroti – afferma Timothy Verdon, direttore del Museo – opera non finita, anche se la dizione che più le competerebbe è quella del XVI secolo quando si diceva ancora opera infinita”.
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