Stiamo assistendo a “un’ondata di mobilitazioni che esprimono il desiderio dei popoli di non rassegnarsi a una dinamica storica di esclusione. Le strade latinoamericane mostrano il grido di una cittadinanza sfinita dallo sfruttamento e dalla convergenza di varie forme di resistenza”.
È questa la posizione dei gesuiti del continente, attraverso un comunicato della Rete dei centri sociali della Compagnia di Gesù in America Latina e Caribe. “L’America Latina – si legge – ha vissuto durante questa seconda metà del 2019 uno stato di ebollizione sociale, politica ed economica. Negli ultimi mesi, le democrazie del continente e il loro apparato statale hanno mostrato grandi limiti e ombre, come violazioni sistematiche dei diritti umani, l’adozione di misure che promuovono la distruzione delle economie locali e favorito l’impatto negativo dei megaprogetti minerari ed energetici su territori che sono patrimonio naturale e culturale”.
Secondo i gesuiti, di fronte alle piaghe della povertà, della disoccupazione, dell’iniquità, della mancanza di accesso a salute e a educazione, della corruzione e del deterioramento del dibattito politico, dei processi migratori innescati da tali situazioni, “hanno luogo proteste di milioni di persone e organizzazioni in tutto il continente, provenienti da vari settori, per lo più popolari: popolazioni indigene e comunità afro-discendenti e contadine, donne, studenti e insegnanti, sindacati, ai quali ogni giorno si aggiungono giovani insoddisfatti, convinti che le misure di politica sociale ed economica li danneggino gravemente e li lascino senza futuro, poiché riducono sempre più le opportunità di accesso all’istruzione superiore, al lavoro dignitoso e allo sviluppo”.
Il comunicato dei gesuiti cita quanto è accaduto e sta accadendo in Ecuador, Cile, Bolivia e Colombia, ma anche la situazione del Venezuela, i progetti ultraliberisti in Brasile, il rinnovato protagonismo dei militari in Uruguay, le gravi e croniche situazioni di molteplici violenze che caratterizzano Haiti, Repubblica Dominicana, Panama, Nicaragua, Honduras e Guatemala.
Di conseguenza, i gesuiti chiedono a tutti gli attori sociali e politici di dare il proprio contributo per “riconfigurare” le democrazie di questi Paesi, assicurando “alternative effettive di partecipazione popolare”; esprimono solidarietà alle vittime della violenza; chiedono di aprire “spazi di dialogo democratico” e al tempo stesso ai manifestanti di “agire in modo pacifico”.
Conclude la nota: “È tempo per noi di trovare un nuovo modo di organizzare la nostra società e la nostra economia, in modo che gli esseri umani e la natura abbiano la priorità”.
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