Fernando Palestini, Direttore Ufficio Cultura Diocesi
DIOCESI – Quello che stiamo vivendo anche a livello planetario non è un bel periodo. Sono sempre di più le organizzazioni, i partiti politici, le singole persone che vedono nel “proprio stare bene” nell’individualismo (inteso anche come nazione, come piccolo gruppo privilegiato) la finalità di ogni agire politico. E gli altri?
E quelli ai margini che fanno fatica, che non hanno voce, i poveri………chi li rappresenta? La politica sembra avere perso di vista il suo obiettivo fondamentale che è il “bene comune” e non il bene di una casta, di un gruppo, di una singola nazione.
Sono state queste riflessioni che hanno spinto la nostra diocesi ad organizzare la scuola di formazione socio-politica che ha affrontato in questo primo anno i principi fondamentali della dottrina sociale della chiesa vale a dire l’insieme di principi, teorie, insegnamenti e direttive emanate dalla Chiesa cattolica in relazione ai problemi di natura sociale ed economica del mondo contemporaneo.
Nei quattro incontri si è parlato infatti di “Dignità della persona umana”, del “Bene comune”, della “Sussidiarietà” e “Solidarietà” termini che oggi sono spesso in disuso oppure ciascuno li interpreta in modo molto personale per non dire utilitaristico. Sono stati quattro momenti molto stimolanti sia per le relazioni tutte particolarmente coinvolgenti che per i laboratori che ne sono scaturiti luoghi e occasioni di incontro e di confronto.
Vorrei riprendere alcune di queste forti sollecitazioni.
Oggi è necessario interrogarci di nuovo su chi sia l’uomo, quale il suo rapporto con il mondo, con gli altri e con Dio. Sappiamo che secondo il disegno originario di Dio l’uomo si realizza come persona nella relazione; occorre quindi superare una visione individualistica ed utilitaristica della vita e dei rapporti sociali ed un’etica soggettiva. Si tratta prima di tutto di un compito educativo per giungere ad una conversione culturale fatta di mentalità e comportamenti nuovi.
“La meta della vita sociale è affermare e promuovere la comune dignità umana, creando sempre maggior uguaglianza non solo di principio ma di fatto, facendo crescere la società attraverso uno sviluppo che usa ragionevolmente e responsabilmente della conoscenza e della libertà. Ciò significa ad esempio: inclusione, non esclusione; condivisione non accaparramento; diritti individuali e sociali; doveri individuali e doveri sociali… Tutto ciò non è frutto del caso, ma di un impegno deciso, il più possibile di tutti. Il cristiano è chiamato ad assumersi questo impegno, tutt’altro che facile, per amore del fratello uomo senza escludere nessuno e per amore di quel Dio che sa essere suo Padre e che ama tutti.” (Mons. Bresciani)
Papa Francesco rivolgendosi ai giovani li stimola all’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. “Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alla gente che si identifica nella politica. Essa, come affermava il santo papa Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza.”
Ogni persona avverte infatti la necessità di sentirsi utile, di cogliere che il suo contributo all’edificazione del bene comune è singolare, e in quanto tale non sostituibile. “Centralità della persona” non significa però esaltazione dell’individualismo: un uomo è caratterizzato non solo dalla libertà di perseguire i suoi interessi privati, ma anche dal desiderio di mettersi insieme per costruire risposta ai bisogni sociali. Occorre esprimere il
fatto che la persona è fondamentalmente relazione e vive di relazioni; dall’altra sostenere i singoli nella loro crescita ed emancipazione. Ciò significa ricominciare a guardare l’uomo in termini relazionali: perché siamo in relazione con la natura, siamo in relazione con quelli che c’erano prima di noi, siamo in relazione con quelli dopo di noi, siamo in relazione con la domanda di senso. L’essere umano è relazione: e non perché abbiamo delle relazioni sociali, ma perché siamo costitutivamente relazione (G. Vittadini).
L’attenzione all’altro implica in primo luogo il riconoscimento dei suoi legittimi diritti e la creazione di condizioni, anche strutturali, per il loro esercizio e sviluppo. Del resto, vale la pena ricordare che la prima e più alta espressione della carità cristiana si incarna nell’attuazione della giustizia, ovvero nella realizzazione di un mondo nel quale i diritti umani, oltre ad essere astrattamente proclamati, sono concretamente tutelati, promossi e valorizzati. Paolo VI parlava di solidarietà per indicare la “civiltà dell’amore”.
La solidarietà è una virtù morale, non un “sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. E’ la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”(Sollicitudo rei socialis, N. 38).
Definitivamente “occorre costruire nelle nostre comunità ecclesiali percorsi dogmatici, etici, sacramentali, liturgici, spazi di apprendimento che respirino davvero la solidarietà nel quotidiano, nei vissuti delle persone, percorsi che sappiano rispondere alle domande difficili degli uomini del nostro tempo, che sappiano dare motivazioni di senso, voglia di vivere, speranza, felicità, festa, permettendo e spronando la Chiesa (che siamo noi, ma non solo, ma non sempre solo noi…) ad essere segno di contraddizione, spazio e tempo di accoglienza e di relazione, di apprendimento e di superamento del male e del dolore (prodotto dalla vita ma condiviso insieme), di utopia, di cieli nuovi e mondi nuovi che ci sono già oggi”(V. Castelli).
0 commenti