Un piccolo borgo di poco più di 1.500 anime, nel cuore dell’Italia, a 700 metri di altezza, dove tutto è circondato dal verde e sembra rimasto intatto come nel Medioevo. È cominciato così, a Greccio, il tempo di Natale di Papa Francesco, che mai come quest’anno ha il sapore del santo di cui ha scelto di prendere il nome, primo Pontefice ad osare un gesto simile.
Dal 1° dicembre in poi – giorno della visita al luogo dove Francesco d’Assisi ha allestito il primo presepe vivente della storia e dove ha scelto di firmare la lettera apostolica sul presepe, “Admirabile signum” – si sono moltiplicati gli appelli di Bergoglio a fare il presepe, riscoprendo questa antica tradizione che insegna soprattutto alle famiglie che “il Vangelo è vivo” e nelle case diventa un “Vangelo domestico”, con la Sacra Famiglia come ospite d’eccezione e Gesù come invitato speciale a cui ciascuno di noi apre la porta per farlo entrare. E sempre a San Francesco il Papa ha dedicato uno degli appuntamenti ecclesiali più importanti di questo 2019 che sta per concludersi: il Sinodo sull’Amazzonia. Anche in uno dei viaggi-simbolo di quest’anno, quello in Giappone, Francesco ha citato il Santo di Assisi, nella tappa a Nagasaki, prima di pronunciare il suo appello dal Memoriale della pace di Hiroshima davanti ai sopravvissuti dell’olocausto nucleare. A ottocento anni dall’incontro di Francesco con il sultano d’Egitto, il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar hanno firmato infine ad Abu Dhabi, nel febbraio scorso, il Documento sulla fratellanza umana, valore centrale nella spiritualità francescana e unico possibile antidoto per garantire un futuro di pace in un mondo segnato da conflitti, violenze, rigurgiti d’odio e intolleranza contro chi è diverso o resta indietro.
Vangelo domestico. “Non è importante come si allestisce il presepe, ciò che conta è che parli alla nostra vita”, scrive il Papa nella lettera apostolica sul presepe firmata a Greccio.
“È come un Vangelo vivo”, il presupposto di una “bella tradizione” da sostenere e realizzare “in famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze”.
“Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo”, sintetizza Francesco. La notte di Natale del 1223 San Francesco, con la semplicità di quel segno, “realizzò una grande opera di evangelizzazione”, che consiste nel “riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità”. Greccio, in questa prospettiva, diventa “un rifugio dell’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio”. Il Papa ha dedicato al presepe anche l’ultima udienza generale prenatalizia, invitando ancora una volta a farlo sempre nelle nostre case:
“Quando noi facciamo il presepe a casa, ‘è come aprire la porta e dire: ‘Entra, Gesù’. È vicinanza invito a Gesù perché venga nella nostra vita. Perché se lui la abita, rinasce. Ed è davvero Natale”,
le parole finali pronunciate a braccio. Il presepe ‘è “un Vangelo domestico”, l’immagine centrale della catechesi: facendo il presepe “possiamo anche invitare la Sacra Famiglia a casa nostra, dove ci sono gioie e preoccupazioni, dove ogni giorno ci svegliamo, prendiamo cibo e siamo vicini alle persone più care”.
Non nemici ma fratelli. “Mai più la guerra, la pace è disarmata”, il filo rosso che lega le tappe a Hiroshima e Nagasaki, durante lo storico viaggio in Giappone, terra di missione agognata dal giovane Bergoglio e raggiunta solo
da successore al soglio di Pietro. Al termine del discorso sulle armi nucleari pronunciato all’Atomic Bomb Hypocenter Park di Nagasaki, esattamente nel luogo dove è esplosa la bomba atomica, il Papa ha citato la preghiera della pace attribuita a San Francesco d’Assisi, proposta anche a chi non professa la fede cattolica: “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dov’è odio, ch’io porti l’amore; dov’è offesa, ch’io porti il perdono; dov’è dubbio, ch’io porti la fede; dov’è disperazione, ch’io porti la speranza; dove sono le tenebre, ch’io porti la luce; dov’è tristezza, ch’io porti la gioia”.
Fratellanza è la parola chiave del Documento firmato a sorpresa con il Grande Imam di Al-Azhar, durante il viaggio apostolico negli Emirati Arabi. E c’è ancora Francesco, come modello e guida del Sinodo per l’Amazzonia: per celebrare i 40 anni dalla proclamazione papale del Poverello di Assisi come patrono dei cultori dell’ecologia, Bergoglio ha voluto piantare nei Giardini Vaticani un leccio proveniente proprio dalla cittadina umbra, simbolo dell’”ecologia integrale” al centro della Laudato sì.
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