In Mali, a Bamako, i migranti irregolari espulsi dall’Europa, o da altri Paesi africani, si occupano anche degli sfollati a causa del conflitto nel Nord. Oltre a tutelare i diritti dei migranti e fornire aiuto sanitario e psicologico a chi subisce i rimpatri forzati, non dimenticano di aiutare le vittime della guerra. E’ una storia incontrata al Forum sociale mondiale che si è svolto a Tunisi dal 26 al 30 marzo. Ce l’ha raccontata Ousmane Diarra, presidente dell’Associazione maliani degli espulsi (Ame), creata nel 1996 per lottare contro le espulsioni di massa dei migranti del Mali. L’associazione rappresenta più di 2000 maliani espulsi nel mondo e lavora per la tutela dei migranti e l’aiuto umanitario d’emergenza. Insieme ad una ong tedesca di medici ha portato aiuti umanitari – generi alimentari e di uso quotidiano – ad un centinaio di donne sfollate a causa del conflitto nel nord del Mali. I rimpatri forzati di migranti vengono svolti in condizioni a volte poco rispettose dei diritti e con costi enormi a carico della collettività. L’Italia, ad esempio, ha speso negli ultimi cinque anni, anche con fondi europei, oltre 100 milioni di euro per rimpatriare poche migliaia di cittadini stranieri. Nei voli di espulsione forzata – come quelli che hanno fatto scalpore lo scorso anno per le foto dei migranti imbavagliati con il nastro adesivo – lo Stato italiano paga cinque biglietti aerei: quello dello straniero e quelli di andata e ritorno per i due agenti che lo scortano (fonte: Redattore sociale, dal rapporto della Commissione diritti umani del Senato su carceri e centri di trattenimento per migranti senza permesso di soggiorno, aprile 2012). Non si conoscono le cifre precise ma, secondo Diarra, ogni giorno qualche migrante viene rimpatriato dall’Europa all’Africa. E mentre a Lampedusa e sulle coste siciliane sono ripresi gli sbarchi e continuano a morire i migranti (due vittime per ipotermia), proponiamo un punto di vista dal Sud del mondo.
Come nasce la vostra associazione?
“Nasce in seguito alla vicenda dei sans-papier maliani che avevano occupato a Parigi la chiesa San Bernand nel 1996, poi espulsi dalla Francia. Anche l’Angola quell’anno ha espulso in massa tanti migranti maliani. Io sono stato uno di quelli. In Angola facevo il commerciante. In quel periodo c’era la guerra. Dopo l’accordo tra il governo e i ribelli, l’Angola ha espulso tutti i migranti africani. Avevamo tutti i documenti ma ci hanno espulso lo stesso. Allora abbiamo creato questa associazione. Ci sono state espulsioni di maliani dall’Arabia Saudita, ma il governo di Bamako non se ne cura. Allora abbiamo mobilitato un collettivo di sostegno composto di giuristi, docenti, famiglie di migranti, per rivendicare il diritto a restare nei Paesi di accoglienza. Abbiamo sviluppato partenariati con ong di medici per le cure sanitarie e psicologiche dei migranti rimpatriati”.
Quali sono le conseguenze sulla vita di un migrante espulso?
“Sono molto gravi. Perché il migrante espulso era la risorsa centrale della propria famiglia e del vicinato. Quando vive questa disavventura si ritrova con gravi problemi psicologici. Le espulsioni vengono fatte spesso in condizioni disumane e barbare. Abbiamo avuto casi di persone incatenate o imbavagliate negli aerei, ma questi sono i casi migliori. L’Ue ha messo in atto una grossa macchina per proteggere le frontiere, l’agenzia Frontex, con uffici a Varsavia. Ma sappiamo i drammi che ha provocato, quante vittime nel Mediterraneo e nel deserto. Le forze dell’ordine locali che fanno capo all’agenzia Frontex sulle frontiere di Marocco, Tunisia, Mauritania, Egitto, Libia hanno addirittura ucciso dei migranti che volevano attraversare il mare”.
Qual è allora la vostra azione politica?
“Noi lottiamo contro tutti gli accordi bilaterali sulle migrazioni, denunciamo Frontex e parliamo contro tutte le politiche repressive nei confronti dei migranti. L’Europa ha adottato una normativa sui rimpatri per chiudere le porte ai migranti. Ci sono gli accordi di riammissione firmati dai Paesi Acpe e Unione europea, c’è un accordo di riammissione tra Francia e alcuni Paesi africani. Si vuole dimostrare agli europei che gli stranieri vengono in Europa per accaparrarsi il loro lavoro. Se la politica dei visti è impossibile, allora i migranti sono obbligati a trovare altre strade illegali, che secondo me sono fabbricate in Europa, in complicità con i nostri dirigenti africani”.
Qual è la situazione oggi in Mali, con il conflitto in corso al nord?
“E’ un conflitto molto politico. Le autorità maliane non hanno saputo gestire bene quest’affare. I politici non hanno la maturità necessaria per far fronte alla situazione. A Bamako ci sono molti sfollati dal nord. La loro situazione è drammatica, vivono male. Le famiglie che li accolgono sono molto povere. Il governo fa quello che può ma non è sufficiente. Ci sono tante organizzazioni della società civile che si fanno carico degli sfollati. Anche noi abbiamo sviluppato un progetto pilota con una ong di medici tedeschi per aiuti sanitari e psicologici agli sfollati”.
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