di Alessandro Di Medio

Il Vangelo della Pasqua che ci è proposto quest’anno, in corrispondenza del ciclo A delle letture, ci narra che le donne che erano andate a visitare il sepolcro, sorprese e sconvolte dai segni che annunciano l’avvenuta Resurrezione, corrono a dirlo ai discepoli “con timore e gioia grande” (Mt 28, 8).

Timore e gioia grande: come possono stare insieme questi due sentimenti? Sembrano quasi opporsi… eppure, in realtà, l’uno custodisce l’altro, rendendolo più vero, più realistico.

Il timore di cui si parla è quello di chi sperimenta la propria piccolezza, la propria incommensurabile inadeguatezza rispetto al dono che ha ricevuto, e allora ci si accosta in punta di piedi per non sciuparlo. Questa piccolezza è però abbracciata e innalzata dalla gioia, che libera da uno sguardo pessimistico su di sé e i propri limiti, e induce a guardare piuttosto alla bellezza del dono stesso, e anche alla bellezza di come si è coinvolti e in qualche modo si viene fare parte del dono. Questa gioia è un dimenticarsi di sé per amore, che fa ritrovare se stessi a nuovo titolo.

Dall’altro lato, questa gioia misteriosa che avviene come esperienza di resurrezione si fa accompagnare dal timore, così da non ridursi a entusiasmo passeggero o esaltazione dell’io. Il timore, questo senso di trepidazione dinanzi al sorgere di una gioia imprevedibile, ce ne ricorda l’assoluta gratuità, che non può mai smettere di sorprenderci, e ci induce ad adottare ogni delicatezza per custodirne la natura autentica.

Timore e gioia, proprio in quest’ordine, a detta di tutti i grandi maestri della fede (a partire dall’evangelista Luca!) sono i due sentimenti che accompagnano le esperienze spirituali autentiche: “‘Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te’. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: ‘Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio’” (Lc 1, 28-30). Il timore da solo ci paralizzerebbe. La gioia da sola ci indurrebbe ad appropriarcene, sciupandola. Timore e gioia ci mantengono nella verità di chi siamo noi, e di chi è Dio, e di come tutto sia dono.

Ebbene sì, anche questa Pasqua strana, la Pasqua dell’anno del coronavirus.

Essendo liberi, possiamo optare tranquillamente per la lamentela, la recriminazione, la tristezza: sarebbe più facile, anche se non ci aiuterebbe di certo a stare meglio.

Oppure possiamo accogliere tutti gli eventi di questo periodo di cui siamo stati scelti come testimoni con timore, cioè con un’osservazione cauta e attenta di qualcosa che ci sovrasta quanto alle sue implicazioni, e che ci richiede l’assenso della fede: la fede che anche qui e ora si compie la volontà di Dio. Radicarsi in questa fede, cioè mettersi in ascolto aperto della vita credendo che tutto è nelle mani del Padre, e cercandovi l’indicazione del prossimo passo da compiere verso il Regno, permetterà alla gioia di raggiungerci, quando essa deciderà di sorgere in noi, come l’aurora della mattina di Pasqua.

Guardare all’attuale situazione del mondo con apertura e speranza, guardare a questi giorni con occhi pasquali che vi vedono un bene possibile, può sembrare folle al pensiero cinico del mondo. Eppure noi cristiani dovremmo avere imparato la lezione da due donne che, guardando verso un sepolcro chiuso e sigillato, ne hanno visto sbucare fuori la Vita: e chi avrebbe potuto prevederlo?

Buona Pasqua, anche ai tempi del coronavirus.

 

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