DIOCESI – Un lettore ci scrive: «Ho visto che una televisione locale trasmette due messe ogni giorno in diretta, che si vanno ad aggiungere alle celebrazioni che tanti sacerdoti tengono sui propri canali social… non è che così si alimenti il devozionismo, voi cosa ne pensate?».

Per la redazione risponde Nicola Rosetti: «Prima di tutto bisogna distinguere fra devozionismo e fede. Chi crede, ovvero chi ha fede, allaccia la sua vita a Qualcuno più grande di lui e dal quale tutto dipende. Si tratta di una relazione dinamica nella quale il fedele si rivolge a Dio e aspetta da lui una risposta, un aiuto o un sostegno. Tutto questo accade durante la celebrazione della Santa Messa, nella quale si chiede perdono per i propri peccati, si ascolta la Parola di Dio, si fanno presenti a Dio le proprie necessità, lo si ringrazia per tutti i suoi benefici e si entra in intima comunione con lui partecipando al banchetto dell’Eucaristia.

Durante la Santa Messa accadono tutte quelle dinamiche che normalmente avvengono fra amici. Infatti con un amico ci si ascolta, ci si scusa se si sbaglia, si chiede aiuto, si ringrazia per una particolare attenzione. Il paragone non deve affatto scandalizzare, poiché Gesù stesso ha chiamato amici i suoi discepoli. Si può dire che Dio si comunica a noi in una forma molto umana e dunque assolutamente compatibile con quella che è la nostra natura. Come si comprende, tutto questo per un credente è vitale e dunque partecipare alla Santa Messa è un bisogno indispensabile.

Al contrario, se la partecipazione alla Santa Messa è una formalità, dettata più da un senso del dovere rispetto al bisogno esistenziale del quale abbiamo appena parlato, se è una partecipazione che non aiuta a vivere meglio la vita di tutti i giorni, se non spalanca la mente e il cuore a una maggiore comprensione della realtà, se non accresce la solidarietà verso gli altri, allora possiamo parlare di un vuoto ritualismo al quale possiamo dare il nome di devozionismo e coloro che lo praticano li chiamiamo “bigotti”.

Questa chiarificazione ci sembra necessaria perché spesso vengono ingiustamente chiamati bigotti anche coloro che vivono nella prima situazione che abbiamo illustrato. Un credente, solo per il fatto che partecipa alla Santa Messa, spesso e volentieri viene appunto considerato un bigotto. Probabilmente questo è dovuto al fatto che viviamo in un contesto sempre più secolarizzato, nel quale un minimo cenno alla fede può essere percepito come fanatismo. Forse questo a qualcuno può sembrare esagerato, però risponde alla realtà dei fatti e ci fa venire alla mente l’episodio di quella donna che durante la Rivoluzione Francese fu trascinata in tribunale e condannata dal giudice come “fanatica e bigotta”. La sua colpa fu quella appunto di essere uscita da casa per andare a Messa! Certo, oggi a nessuno può capitare una cosa del genere, ma è innegabile che un certo pregiudizio verso i credenti ci sia ancora.

La trasmissione quotidiana della celebrazione della Santa Messa alimenta dunque il devozionismo? Se si partecipa nel modo giusto che abbiamo descritto possiamo rispondere con certezza di no. C’è sicuramente un aspetto da tenere in considerazione e cioè che, evidentemente, partecipare a una Messa trasmessa in tv non è la stessa cosa che partecipare dal vivo. Questo è normale, ma, per tornare alla metafora dell’amicizia, quando due persone non possono vedersi perché sono a distanza, pur di rimanere in relazione si fanno una telefonata, o, come può accadere oggi, una videochiamata. Non è quello che uno desidererebbe, ma è meglio di niente e partecipare dunque a una Messa trasmessa in televisione è un modo tanto semplice quanto genuino per dire al Signore: ora non posso venire fisicamente da te, ma voglio rimanere in contatto con te perché per me sei importante.

Manca certamente un elemento centrale della celebrazione ovvero la dimensione comunitaria. L’incontro col Signore non avviene da soli, ma sempre per mezzo della comunità cristiana. Pertanto la celebrazione in queste modalità è dettata da una situazione di emergenza, che è transitoria e che terminerà quando potremo tornare a celebrare in situazioni di normalità. È quello che ha recentemente ricordato Papa Francesco: «È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei Sacramenti, in mezzo al Popolo di Dio».

Lei accennava anche alle Sante Messe in diretta streaming diffuse attraverso varie piattaforme, come ad esempio youtube o facebook. Anche in questo caso non dobbiamo scandalizzarci: la Chiesa continua a fare quello che fa da 2000 anni e cioè inculturare il Vangelo eterno di Dio secondo i mutevoli linguaggi degli uomini e in questo ripete quello che ha imparato dal suo Signore. Infatti quando Gesù attraversava la Galilea, la Samaria e la Giudea si rivolgeva al suo uditorio, costituito da gente umile, con immagini e figure prese in prestito dal loro habitat. Nei vangeli sentiamo dunque parlare Gesù di semina, di campi, di grano, di zizzania, di pastori, di pecore e di tutto ciò che afferisce a un universo culturale dominato da attività come l’agricoltura o la pastorizia. Egli traduce concetti difficili in un linguaggio comprensibile alla sensibilità del suo “pubblico”. Né più né meno la Chiesa fa oggi: se nella vita degli uomini del nostro tempo i social occupano un posto importante, ecco che la Chiesa abita questi luoghi e trasmette la Parola di Dio anche attraverso questi canali.

Si potrebbe dire: ma non basterebbe una sola messa, come ad esempio quella del Papa trasmessa ogni giorno da Rai1? Certo, potrebbe bastare, ma ogni cristiano ha un legame particolare col proprio parroco, col sacerdote che l’ha sposato, con un sacerdote che è stato vicino durante un momento difficile: ogni volta Cristo si è fatto vicino e presente attraverso quegli occhi che ti hanno guardato con fiducia, con quegli orecchi che hanno ascoltato o con quelle mani che generosamente hanno dato qualcosa quando c’era bisogno.

Si tratta solo di belle parole? Nient’affatto! È Gesù stesso che nel vangelo dice: “Chi accoglie voi accoglie me!”. Ritorna quella umanità di cui parlavamo prima attraverso la quale Gesù continua a essere presente nel tempo e nello spazio. Si tratta di un’esigenza umana anche letterariamente documentata. Pensiamo a quando ne I Promessi Sposi, al capitolo XXIII, l’Innominato dice al Cardinale Borromeo: “Ho bisogno di parlarvi! Ho bisogno di sentirvi, di vedervi! Ho bisogno di voi!”. Egli si è sentito abbracciato da Cristo attraverso il volto e la fisicità del Cardinale Borromeo: è proprio per il suo tramite che è giunto a Cristo ed è solo per questo che lui ha desiderio di rivederlo! Crediamo che la stessa dinamica si ripeta in coloro che in questi giorni sentono il bisogno di vedere la messa celebrata dai propri sacerdoti ed è inutile nascondersi che è anche un modo perché la vita sembri il più possibile simile alla normalità».

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