“Anche se sono spesso costretti a fuggire allo stesso modo e per le medesime ragioni dei rifugiati”, gli sfollati interni “non rientrano nel sistema di protezione internazionale previsto dal diritto internazionale dei rifugiati”. A lanciare il grido d’allarme è la sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano, nel volume “Orientamenti pastorali sugli sfollati interni” (IDP), pubblicato oggi. “Offrire suggerimenti e linee guida per un’azione basata su quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare”, l’obiettivo principale del volume, sulla scorta dei quattro imperativi di Papa Francesco per i migranti e i rifugiati.
Alla fine del 2018, secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), 41.3 milioni di persone in tutto il mondo erano sfollate interne, il più alto numero registrato nella storia.
“Le persone tutte, indipendentemente dal loro status migratorio, dovrebbero poter rimanere nelle loro case in pace e sicurezza, senza il pericolo di essere forzosamente sfollate”, l’indicazione generale del documento, in cui si fa appello ai media e ai governo per “sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che affliggono” gli sfollati interni, che “dovrebbero essere considerati ‘rifugiati’, alla stregua di quelli formalmente riconosciuti dalla Convenzione sui rifugiati del 1951, perché sono vittime dello stesso tipo di violenza”.
“E’ impossibile rimanere in silenzio di fronte alle immagini inquietanti che mostrano scorci di campi di rifugiati e di sfollati in tutto il mondo”,
l’appello: all’interno dei campi, “gli sfollati interni si ritrovano spesso costretti ad affrontare difficoltà e assenza di protezione, anche quando i campi stessi sono gestiti dalle organizzazioni internazionali”. Di qui la necessità di “fare il possibile affinché i campi siano collocati in aree sicure, in località il più possibile lontane da conflitti e sicure da eventuali attacchi”, proteggendo i residenti “dalle varie forme di violenza morale e fisica” e facendo sì che “i diritti e la dignità di tutti nella società siano totalmente rispettati”.
“I campi sono una soluzione temporanea e non sostitutiva di abitazioni adeguate”, non devono diventare “una situazione abitativa permanente ma “restare ciò che era stato previsto che fossero: una soluzione d’emergenza e, pertanto, provvisoria”.
L’integrazione è possibile, il monito della Santa Sede, solo attraverso “il coinvolgimento della comunità internazionale in un adeguato impegno di finanziamento a lungo termine per far fronte alle situazioni post-belliche e permettere così ai rifugiati e agli sfollati di ritornare a casa con dignità e ricominciare una vita normale insieme con tutta la popolazione”. Per far fronte a questa sfida, la Chiesa Cattolica è chiamata a
“favorire un’integrazione autentica,
evitando la ghettizzazione delle comunità di sfollati interni” ed educando questi ultimi “al rispetto per le norme locali e le leggi civili e all’apertura nei confronti della comunità che li accoglie”. No, allora, a xenofobia, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale, sì invece all’adozione di “specifici strumenti legislativi e di appropriati meccanismi di coordinamento da parte della comunità internazionale, i cui legittimi interventi non potranno essere considerati come violazioni della sovranità nazionale”.
Le persone fuggite da conflitti armati, i bambini non accompagnati o separati dalle famiglie, i bambini soldato, le donne e i bambini vittime di abusi, le persone con disabilità e appartenenti a gruppi etnici discriminati: sono questi i più vulnerabili, spesso invisibili nella società. “Sostenere lo sviluppo e l’attuazione di programmi e politiche di riabilitazione degli IDP, in particolare dei minori, affetti da traumi psicologici e lesioni fisiche durante i conflitti armati, specialmente attraverso l’accesso all’educazione come forma di protezione e come mezzo per strutturare le loro vite e quelle delle loro famiglie”, il primo compito della Chiesa cattolica, chiamata anche a
“promuovere campagne di sensibilizzazione e di educazione per impedire gli abusi nei confronti di donne e bambini
sfollati interni e spronare gli stati ad applicare la legge in modo appropriato nel trattamento di questi crimini”. “Incoraggiare gli Stati ad adottare politiche e pratiche che garantiscano ai migranti, richiedenti asilo e rifugiati con necessità particolari o vulnerabilità le stesse opportunità offerte ai cittadini disabili”, l’altra proposta alla comunità ecclesiale, chiamata anche ad “esortare gli stati ad applicare la legislazione internazionale contro la discriminazione degli IDP basata sulla loro origine etnica, offrendo servizi equivalenti a tutti i gruppi etnici all’interno dello stato”. “Gli sfollati interni che risiedono nelle aree urbane sono spesso relegati nei quartieri periferici e in baraccopoli, dove essi vivono in condizioni svantaggiate rispetto ad altri cittadini del luogo”, la denuncia del documento, in cui si esorta la Chiesa cattolica a
“raggiungere e tendere una mano agli sfollati interni in ogni periferia e baraccopoli”.
Nel testo, inoltre, si esortano i vescovi locali “ad adottare strutture pastorali e programmi specifici che affrontino le esigenze materiali e spirituali degli sfollati interni e assegnare adeguate risorse finanziarie e umane per il loro funzionamento”. Luogo di questa azione pastorale è innanzitutto e soprattutto la parrocchia: se necessario, secondo il dicastero pontificio si possono erigere parrocchie personali o “missiones cum cura animarum” per affrontare meglio le necessità pastorali delle persone forzatamente sradicate.
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