di Stefano De Martis
È la più imponente manovra economica della storia della Repubblica. Un’operazione da 55 miliardi che si aggiungono ai 25 già stanziati con il decreto “cura Italia”. Molto più di due leggi finanziarie. Negli oltre 250 articoli del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri – poco meno di 500 pagine di testo – ci sono interventi in quasi tutti i campi della vita economica del Paese, con importi di primaria rilevanza per gli aiuti alle imprese e per gli ammortizzatori sociali. Accanto al Reddito di cittadinanza viene introdotto un temporaneo e inedito “reddito d’emergenza” e si dà il via libera a una pur circoscritta regolarizzazione dei lavoratori immigrati, chiesta a gran voce anche dal mondo dell’agricoltura. Su quest’ultimo punto si è consumato lo scontro finale all’interno della maggioranza, con il M5S messo di traverso per il timore di cedere consensi alla Lega che naturalmente, insieme a FdI, ha cavalcato senza remore la polemica anti-immigrati su cui ha costruito gran parte delle proprie fortune politiche. Alla fine un accordo si è trovato, ma l’ulteriore ritardo provocato nel varo del decreto “rilancio” – che in origine doveva chiamarsi “aprile” e già questo dice molto – è stato un colpo negativo per l’immagine di un Governo che pure ha acquisito meriti oggettivi nella gestione dell’emergenza sanitaria, anche nel confronto con le scelte e i comportamenti dei leader di altri grandi Paesi.
Il problema dei tempi non investe soltanto l’immagine dell’esecutivo (fattore tutt’altro che irrilevante nel rapporto con i cittadini e con i soggetti internazionali), ma è diventato una questione assolutamente sostanziale. Finora ci sono stati troppi intoppi e farraginosità. Lo ha riconosciuto anche il premier Conte nella conferenza stampa di presentazione del decreto, che contiene già alcuni tentativi di correzione. Ma verosimilmente occorrerà un intervento mirato per assicurare l’immediata esecutività dei provvedimenti e sciogliere i tanti nodi che paralizzano da anni il concreto impiego delle risorse potenzialmente disponibili.
L’estrema burocratizzazione, purtroppo, è un problema cronico che precede di molto la nascita dell’esecutivo in carica, ma ora bisogna intervenire subito perché per molti è in gioco la stessa sopravvivenza. Ed è facile prevedere che su questo terreno il Governo si giocherà una buona parte dei consensi maturati nei mesi più convulsi dell’emergenza sanitaria.
Il decreto “rilancio” è un provvedimento di una complessità tale da scoraggiare giudizi sommari. L’entità della manovra appare adeguata alle necessità del momento. La critica prevalente nei commenti a caldo riguarda piuttosto la mancanza di un progetto unitario. E’ un’osservazione fondata ma che va rapportata al contesto concreto in cui ci troviamo. Se l’emergenza sanitaria pare finalmente attenuarsi (con tutte le prudenze del caso), ora siamo in piena emergenza economica e l’impegno di investire sul futuro si intreccia con il dovere di tamponare le situazioni di crisi più acute, laddove il reddito è stato drasticamente ridotto o addirittura cancellato. Questo secondo aspetto (definito da alcuni “risarcitorio”) è forse prevalente nel nuovo decreto che comunque prevede un intervento dello Stato impensabile fino a pochi mesi fa. Bisognerà vedere se questo intervento sarà speso per attivare autonomi processi economico-sociali (c’è anche tutto il campo del Terzo Settore da valorizzare) in una logica di sussidiarietà o se aprirà le porte a una deriva assistenzialistica. Non va inoltre dimenticato che il nostro Paese soffre da anni di un drammatico declino demografico che rischia di essere accresciuto dalle conseguenze della pandemia e di minare alla radice le possibilità di futuro.
Il decreto “rilancio” contiene misure di carattere generale che certamente costituiscono anche per la famiglie un aiuto molto importante, in molti casi decisivo, ma non ha affrontato il tema di forme di sostegno specifico e unitario collegate alla presenza di figli senza le quali è impensabile un’inversione di tendenza.
Sul decreto ha inciso pesantemente anche il contesto politico. Si è già accennato ai forti contrasti interni alla maggioranza, ma anche sull’altro versante la situazione è confusa e contraddittoria. Dopo lo smarcamento di Forza Italia e i distinguo di Fdi, il centro-destra si presenta in ordine sparso sulle cruciali questioni europee e la Lega appare incapace di uscire dalla logica degli slogan populisti. Non c’è un clima politico favorevole a una ripartenza ordinata e condivisa. Purtroppo i veleni d’odio seminati nel tempo riemergono non appena l’afflato collettivo dell’emergenza sanitaria si attenua, favoriti anche dalle tensioni sociali almeno in parte inevitabili. A fronte di ciò, è apprezzabile l’approccio del Presidente del Consiglio che ha voluto presentare il nuovo decreto insieme ai ministri di ogni forza della maggioranza e che in quella sede si è anche detto disponibile al contributo dell’opposizione per migliorare il testo nel corso del dibattito parlamentare. Nella stessa direzione va anche l’annunciata scelta di fissare le nuove direttive per il 18 maggio con un decreto-legge, che passa attraverso il vaglio del Parlamento, e non con un “solitario” dpcm, che è un atto del premier. Questo anche in virtù dei tempi meno concitati che la situazione ora consente rispetto ai mesi scorsi, quando si è fatto ricorso a a strumenti normativi più agili e reversibili. Restano sullo sfondo i ragionamenti su possibili cambiamenti al vertice che costantemente alimentano le cronache politiche e che appaiono in verità abbastanza surreali. In realtà nessuno pensa che sia possibile aprire ora una crisi di governo e a ben vedere le congetture sul futuro prossimo scommettono sul fatto che il Paese sarà presto travolto da una bufera economico-finanziaria e con esso anche l’attuale esecutivo. Comunque la si pensi sul governo Conte, chi vuole il bene dell’Italia – dell’Italia tutta intera, una e indivisibile – deve invece puntare sulla sua tenuta e sulla sua capacità di riscossa.
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