Alessandro Di Medio

Il Giovedì Santo, che apre il tempo pasquale, ci colloca nell’origine del mistero eucaristico quale Corpo offerto, spezzato, mangiato: è il Corpo del sacrificio.
La solennità del Corpus Domini ci rimette davanti a questo stesso Corpo, ma nella luce della Pasqua ormai compiuta, quale Corpo del Pastore che ci guida, il Corpo della visibilità, dello stupore e dell’adorazione: è il Corpo della presenza.

Sacrificio perché presenza, e presenza perché sacrificio: i due lati dell’Eucaristia, che in questo tempo tanto strano e imprevisto, il tempo della pandemia e della quarantena, è stata più che mai oggetto di riflessione, di osservazione, di contestazione, di desiderio e di timore.

Qualcuno l’Eucaristia l’ha pretesa a tutti i costi, riducendo ad essa le proprie possibilità con Dio, a onta di qualsivoglia pandemia, mentre qualcun altro l’ha demonizzata come vettore di ogni possibile contagio; c’è stato chi ha continuato a offrirla per un popolo purtroppo assente, presenza reale e fisica (eucaristica) dinanzi a una presenza spirituale e morale (ecclesiale), e chi l’Eucaristia l’ha immessa nello streaming magmatico e poliedrico del web, affinché la Presenza reale fosse per molti almeno Immagine, incontro visivo, accesso analogico al Mistero.

Nel tempo rigido della quarantena, e in quello successivo della cauta ripresa, c’è stato chi l’Eucaristia è tornato a cercarla, e chi si è accorto che prima era solo un’abitudine, di cui ha imparato a fare benissimo a meno. Presenza fondamentale per alcuni, Assenza risolutiva per altri: la pandemia come ogni crisi ha svelato i cuori e tirato fuori il succo di ciascuno.

Se l’Eucaristia nel Giovedì Santo è celebrata principalmente come l’atto, cioè il sacrificio, nel giorno del Corpus Domini, come dice il nome stesso della solennità, essa è anzitutto la questione del soggetto/oggetto di tale atto, cioè del Corpo, dell’Ostia candida in quanto tale, che non smette mai di meravigliare e interrogare sia la Chiesa che il mondo, e che ci colloca nella scia di quello stupore che ha nell’incontro dei discepoli con il Risorto la sua origine – lo stupore per un Corpo che C’È.

E allora questo è il Corpo che sfila con noi nelle processioni e si fa incensare, ma anche quello che rimane schiacciato con le vittime dei terremoti sotto le macerie, e che si fa mitragliare dai militari al servizio di regimi crudeli con i dimostranti rinserrati nelle chiese; è il Corpo dinanzi a cui tutti si inginocchiano riconoscendone la signoria, ma anche quello che è ignorato pur essendoci, come capita ai più derelitti. Un Corpo amato, custodito e trattato con delicatezza, come quello di un bambino, ma anche un Corpo esposto, venduto e abusato, come quello di un bambino: allo stesso modo innocente e inerme.

È il Corpo che nella quarantena per la pandemia è rimasto chiuso da solo nei tabernacoli, separato da tanta gente che stava chiusa da sola nelle proprie case, ed è anche il Corpo che i credenti si sono affrettati a voler reincontrare finita la quarantena, tanto quanto hanno voluto reincontrare gli altri loro cari da cui fino ad allora erano stati separati.

Corpo assente o presente, distante o accessibile, offerto, spezzato, mangiato, esposto, visto, filmato, adorato, vilipeso, ritrovato, perduto, custodito, dimenticato… un Corpo che, pure nelle sue caratteristiche misteriose e antinomiche, continua a voler stare nel flusso delle cose e degli eventi, perché esso è anche il Corpo dell’Incarnazione, ed è il sigillo della fedeltà di Dio alla nostra carne, “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”.

Il Corpo di Dio-con-noi, grazie al quale possiamo trovarLo in tutte le cose della nostra vita!

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