di Francesca Lozito

Un volume scritto come prosecuzione e completamento del discorso alla città. È “Non dimentichiamoci di Dio”, l’ultimo libro dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, presentato ieri sera all’auditorium di Largo Mahler, gremito da tanti milanesi – ben 2mila – che hanno voluto ascoltare le parole dell’arcivescovo in dialogo con alcuni importanti giornalisti, Ezio Mauro, Giuliano Ferrara e Ferruccio De Bortoli e con il giurista Francesco D’Agostino.

Milano protagonista. “Non dimentichiamoci di Dio” prende le mosse da un altro importante accadimento: l’anniversario dei 1700 anni dalla promulgazione dell’Editto di Costantino, che vede Milano protagonista di numerose iniziative. E tra presente e passato fa una proposta in positivo: quella di un dialogo, possibile, tra culture e religioni diverse in questa nostra società che come Scola non si stanca mai di ripetere, è plurale.

La stanchezza dell’Europa. E allora verrebbe da immaginare che il primo pensiero dell’arcivescovo di Milano, nello scrivere questo libro, sia stato per tutti quei luoghi in cui si sono compiute negli ultimi anni vere e proprie rivoluzioni. Il cardinale Scola, però, preferisce concentrarsi sulla stanchezza dell’Europa e rivela: “A partire dallo scorso dicembre ho avuto la percezione dolorosa della situazione dell’Europa e delle chiese europee. Una grande stanchezza, un’incapacità di reggere il compito che spetta al vecchio continente”. Perché secondo il cardinale “La grande giovinezza delle chiese africane e latino americane non basta. È necessaria – precisa – ma non basta”. Secondo Scola “c’è una complessità della realtà che l’Europa si porta sulle spalle da tanti secoli e sembra esserne estenuata”.

I segni della Provvidenza. Due i fatti provvidenziali secondo Scola avvenuti in questi ultimi mesi: la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco, che l’arcivescovo vede come un’attuazione di quella “speranza affidabile” così chiamata proprio dal Papa emerito nella “Spe salvi”. Parla anche della società l’arcivescovo e la definisce luogo di “fecondazione”, inteso come confronto tra soggetti. Questa proposta di “fecondazione” emerge con forza nel libro: “Sono convinto – ha ribadito durante la presentazione – che una società civile che non si fondi sul matrimonio fra un uomo e una donna, aperto alla vita e teso alla famiglia è una società meno consistente, meno solida”. Non è pensabile infatti “una società civile che non dia al matrimonio il suo vero nome” perché “a ogni cosa corrisponde un nome, non c’è un nome per più cose” e “devo avere la possibilità di dire questo. Se non lo dico tolgo qualcosa alla società”.

Le voci dei laici. Prima dell’intervento di Scola hanno rilanciato alcune provocazioni i direttori dei giornali e il giuristaFrancesco D’Agostino. Quest’ultimo ha sottolineato come ancora “le ragioni del cattolicesimo non siano prese in carico da quei laicisti che si arroccano su posizioni estreme” e ha citato, per spiegare, la vicenda di Eluana Englaro. In quell’occasione – annota il giurista – “non ho sentito una riflessione sugli stati vegetativi persistenti che provenisse da quella parte”. Gli ha fatto eco Ferruccio De Bortoli, direttore del “Corriere della Sera”, secondo il quale “dobbiamo costruire un’idea di società in cui non a tutte le domande siamo in grado di dare delle risposte”. Ezio Mauro, direttore di “Repubblica”, ha affermato come il compito dello Stato sia quello di “coltivare le ricchezze della società civile”. Infine Giuliano Ferrara, direttore del “Foglio”, si è soffermato sulla libertà di espressione, osservando che “il mondo liberale continua a coltivare un conflitto tra le religioni”.

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