M. Chiara Biagioni

“Si è superata una grande paura”. Tira un sospiro di sollievo mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e vicepresidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea (Comece). Da Bruxelles giungono finalmente notizie positive. I leader europei hanno raggiunto lo storico accordo sul Recovery Fund ed il Bilancio Ue 2021-2027 al termine di un negoziato record durato quattro giorni e quattro notti. I soldi stanziati sono importanti: andranno a sostenere programmi pubblici volti a permettere un più rapido recupero dai danni economici e sociali causati dall’epidemia di Covid-19.

Paura di cosa, mons. Crociata?

Ricordo di un detto attribuito ad un autore classico, “laddove è più grande il pericolo, più grande è la salvezza”. Il pericolo era grande perché il passaggio doloroso e drammatico che ancora stiamo vivendo a causa dell’epidemia, ha ed avrà delle conseguenze gravissime sul piano sociale. Per cui un mancato accordo per trovare le risorse necessarie a superare la crisi, avrebbe non soltanto comportato la difficoltà dei singoli paesi ad affrontare le sfide ma anche una lacerazione crescente e pericolosa per la stessa Unione.

E ora?

Ci vorrebbe ora qualcosa di più. E cioè un accompagnamento adeguato di questa distribuzione dei fondi per una loro utilizzazione volta soprattutto a sostenere una ripresa del lavoro, le fasce più deboli che hanno subito maggiormente le conseguenze della crisi e la struttura produttiva ai vari livelli dei singoli Paesi. Ecco, tutto ciò necessita di essere adeguatamente accompagnato e seguito perché l’obiettivo sia raggiunto da tutti ed insieme.

Cosa intendeva quando diceva “qualcosa di più”?

Devono crescere la volontà politica e l’unità politica. Insieme alla capacità di trovare soluzioni economiche straordinarie per un periodo straordinario, ci vuole unità e volontà. Quello che è stato raggiunto a Bruxelles è certamente un risultato politico perché i Paesi europei hanno capito che è necessario stare insieme, che al di là delle diversità di posizioni di partenza, bisogna trovare un punto comune. Ma bisogna crescere ancora in questa direzione, come visione di insieme, come progetto comune.

Le è piaciuto come si è comportato in questa occasione il governo italiano?

Il Presidente del Consiglio ha svolto in meglio la rappresentanza del nostro Paese, lanciando messaggi non di recriminazioni e minacce ma messaggi volti a far vedere l’interesse dell’Europa nel suo insieme a trovare una soluzione comune. Una soluzione che permettesse ai singoli Paesi di ripartire. Mi pare che il risultato ottenuto debba essere attribuito a questa capacità del governo italiano ma anche – per quello che abbiamo visto – al lavoro di contatto e dialogo che è stato svolto precedentemente ed ha favorito un clima di equilibri e rapporti giusti che sono stati poi i presupposti per ottenere oggi questo risultato.

E’ stato il summit più lungo della storia dell’Unione Europea e le discussioni hanno fatto emergere un’Unione divisa tra Paesi più ricchi e paesi più poveri. Quale la lezione per il futuro trarre da questo vertice?

Questo summit è stato un ulteriore esempio della fatica con cui l’Unione riesce a trovare soluzioni quando ciascuno difende egoisticamente le posizioni di vantaggio già raggiunte. Ma quando ci si confronta per trovare soluzioni comuni ad una crisi come quella attuale, queste differenti posizioni di partenza non possono diventare motivo per sottolineare posizioni di superiorità e di vantaggio di qualcuno rispetto ad altri. Occorre piuttosto che ciascuno faccia lo sforzo per compiere un passo avanti. Se non si fa, si rischia di fare del male a tutti. Questa è la lezione di questo vertice.

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