di Marco Testi
“Le figlie di Gérine” (Editoriale Lombarda, 500 pagine, 24 euro) di Rosaria Marchesi è un recentissimo contributo per un discorso molto trascurato oggi: l’essere insieme per.
Un contributo tanto più valido in quanto non si perde in teorie, ma porta soprattutto dati, quelli della Congregazione delle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena che ha ora la casa madre ad Albi, in Francia, e la Curia Generale a Roma. L’accurato lavoro dell’autrice, infatti, può essere letto sia come la narrazione del percorso della congregazione, ma anche come la vittoria della comunione contro la frammentazione e le lacerazioni, dietro le quali la Storia non è riuscita a celare il protagonismo talvolta inconsapevole dei fautori delle divisioni.La Congregazione delle suore Domenicane di Santa Caterina da Siena ha una storia fatta di altre storie, come in un sistema di scatole cinesi.La questione della Chiesa gallicana, ad esempio, con un vescovo che, aderendo a quella riforma, ha causato una scissione durata un secolo. La storia della Provvidenza come feedback, ad esempio, perché in un momento storico in cui l’Occidente sta perdendo la sua capacità di creare valori, coloro che sono stati salvati o cresciuti nell’ascolto della Parola, che “in origine hanno beneficiato dell’aiuto delle sorelle europee per conoscere o approfondire la figura di Cristo vengono in Europa per riportare qui l’Annuncio, visto che il Vecchio Continente (…) ha perso o annacquato il senso di Dio”, come afferma l’autrice.
In effetti le congregazioni di Albi e di Roma, ora di nuovo riunite, hanno un’origine comune in Francia, dove, a metà Ottocento, madre Gérine Fabre fondò la congregazione madre, che poi fu costretta a dividersi a causa dell’intervento del vescovo gallicano di Albi nel 1879.
Ma a leggere le documentatissime storie della presenza delle sorelle in tutti i continenti,si ha l’idea di un viaggio verso la riconciliazione, una sorta di ritorno guardando avanti. Perché il paradosso è che qui si parla non di convegni, lettere, organizzazioni finalizzate a rimettere insieme i due pezzi separati, ma semplicemente di gente che ha cercato di aiutare gli altri andandosene dalla comodità e dalle sicurezze per aiutare, insegnare, curare, consolare, bambini e adulti che in Senegal come in Nigeria e in Uganda, in Perù come in Brasile e in Patagonia, in Slovenia come a Kabul, in Spagna come in Italia correvano mille pericoli.
È un libro che insegna molto, questo “Le figlie di Gérine”, forse più di quello che la sua autrice poteva pensare, ma questo non deve sorprendere, perché l’opera va sempre oltre e prende la mano agli autori. Insegna che l’arte della riconciliazione non è fatta di rivendicazioni e recriminazioni, ma di lavoro e di sacrificio di sé. In poche parole, di fare.Questa attitudine ad una operatività sostenuta da una fede concreta e coraggiosa è davvero una lezione unica e feconda. Donne che si sono allontanate dalla propria casa per donarsi integralmente all’altro hanno in realtà riportato a casa una comunità che si era divisa per ragioni “ideologiche”.
Il silenzio assordante di chi opera senza chiedere nulla e soprattutto senza pubblicità e proclami.
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