DIOCESI – La presenza in una diocesi di un Vescovo Emerito è sempre un privilegio, un “tesoro” da custodire e valorizzare.
In quella di San Benedetto – Ripatransone – Montalto M. questa importante figura si incarna nel nome di S.E.R Mons. Gervasio Gestori, nato a Barlassina (MI) il 1° febbraio 1936. Ordinato presbitero il 28 giugno 1959, è stato eletto alla sede vescovile di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto il 21 giugno 1996 e poi ordinato vescovo il 7 settembre 1996. Dal 4 novembre 2013 è divenuto vescovo emerito e attualmente è Membro della Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese.
In questo tempo straordinario che ha messo alla prova l’umanità intera e nel quale la pandemia ha lasciato un segno importante su tutti i cittadini del mondo, abbiamo chiesto al nostro Vescovo Emerito le sue personali riflessioni su alcune importanti tematiche attuali.
Eccellenza, Papa Francesco nella Udienza generale del 27 agosto ha detto: “La pandemia ci ha messi tutti in crisi. Ma ricordatevi che da una crisi non si può uscire uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori” Che cosa ha pensato durante il lungo tempo della crisi e come è possibile uscire migliori dalla dura esperienza imposta dal Coronavirus?
Questa affermazione del Papa mi ha fatto pensare e mi sono chiesto che cosa si dovrebbe fare per uscire migliori dalla dura lezione di questa prova, che ha avuto la potenza impensabile di mettere in ginocchio il mondo intero.
Incomincio da me e mi domando che cosa io abbia imparato, e che cosa stia imparando, da questi lunghi mesi di chiusura forzata.
Il silenzio e la solitudine mi hanno fatto riflettere sulla condizione di molti anziani, sulla situazione delle famiglie, sugli atteggiamenti dei giovani, sulle fatiche delle mamme con bambini, sulle paure di perdere il lavoro, e poi ancora, sulla pastorale delle nostre Parrocchie e sugli impegni dei sacerdoti. Quante cose stanno cambiando per inerzia e altre dovrebbero sapientemente cambiare secondo progetti! Il passato non ritornerà, nè si deve ritornare a vivere come prima. Bisogna imparare e si deve cambiare.
Personalmente mi limito a due cose, tra le altre, che hanno trovato spazio nella mia vita quotidiana. La prima: Sto imparando ad apprezzare con sentimenti di gratitudine le piccole gioie di ogni giorno. Qualche esempio? Una telefonata inaspettata, una notizia televisiva, un messaggio telematico, un articolo di giornale, un bel brano musicale, uno spettacolo naturale come un arcobaleno, i fiori del mio balcone, ecc. Queste piccole cose hanno saputo donare gioia e serenità, e mi ricordavano che, accanto alle normali preoccupazioni del vivere quotidiano dell’anziano, esse mi accompagnavano e mi invitano alla riconoscenza.
La seconda cosa, che ho cercato di imparare dalla pandemia, è stata quella di compiere ogni giorno almeno una piccola opera buona. Al mattino appena sveglio chiedevo al Signore: oggi dammi la possibilità di fare qualcosa di buono (un saluto telematico, una letterina ad un amico, un messaggino augurale per il compleanno o l’onomastico, un WhatsApp di vicinanza ad una persona in difficoltà, un incoraggiamento, ecc.). Ero ascoltato dalla bontà del Signore, ma mi dicevo: se anche dovessero mancare le occasioni, c’è sempre un bene migliore da offrire, quello della preghiera. Cercavo di ricordare all’altare le tante persone care e note ed i molti bisogni della gente durante quelle logoranti giornate di chiusura. Ho potuto sperimentare quanto fosse vera quella riflessione, che il Manzoni nel suo noto romanzo attribuisce all’autore anonimo: “Si dovrebbe pensare più a fare del bene che a star bene; e così si finirebbe anche a star meglio” (cap. 38). Quanto è vero! Provare per credere.
La popolazione è stata duramente provata in questi mesi e la sofferenza ha colpito la vita di tante persone. E’ stato solo dolore o si devono vedere anche segnali di speranza?
La difficile situazione della gente mi era fatta conoscere da quanto i mezzi di comunicazione mi buttavano addosso continuamente, con una talora errata e confusa infomania. Mi sto convincendo che il mondo aveva bisogno di questa prova, perchè il ritmo di troppe giornate e gli orizzonti del vivere erano arrivati ad un punto tale che si andava a sbattere. In che senso? Che valore poteva avere quel diffuso modo di esistenza? Stavamo esagerando? Era veramente umano vivere in quel modo? C’era bisogno di un po’ di lentezza per avere corso troppo, occorreva qualcuno o qualcosa che ci dicesse: fermati un momento, cerca di riflettere, quello che stai vivendo merita? E perché lo fai? Che cosa vuoi ottenere? E dopo? Ho trovato scritto: “Il viaggio più lento è quello che si fa partendo dalla porta di casa. Usando strumenti di mobilità dolce, cioè lo zaino e gli scarponi, la bici”. Ci ha fatto del bene fermarci e chiederci il senso di quanto stavamo facendo. Siamo stati costretti a confrontarci con noi stessi ed a pensare di più. “Conosci te stesso”, diceva l’antica sapienza greca e S. Agostino ammoniva: “Non uscire da te, rientra in te stesso. Nel tuo cuore abita la verità”. Ci eravamo dimenticati di questo stile, che è essenziale per l’essere persona. Confessiamolo sinceramente: La pandemia è stata una potente lezione di vita.
Come uscire migliori da questa crisi? Si sente di esprimere qualche sua indicazione?
Ripensando all’antico Impero Romano, una potenza che allora ai contemporanei sembrava indistruttibile, ed alla sua ingloriosa fine, che gettò nella crisi il mondo di quel tempo, mi ricordai che la ripresa della vita sociale, culturale e economica, venne favorita dall’opera di quelle Abbazie, guidate dalla Regola di San Benedetto da Norcia. Diffuse in tutta Europa, custodendo i tesori culturali e sociali del ricco passato greco e romano, esse furono le sorgenti della ripartenza dopo i secoli delle invasioni.
Penso che alcune indicazioni di quell’antico programma di rinascita rimangano utili anche per la ripartenza dei nostri tempi, seguiti alla fermata della corsa del nostro mondo. Brevissimamente mi limito a ricordare le cinque indicazioni fondamentali della Regola Benedettina.
La prima: la cura della propria abitazione, il monastero, con la fatica del lavoro quotidiano. Oggi direi: ciascuno faccia la sua parte. Lo studente si impegni ad imparare seriamente, l’agricoltore continui ad amare la sua preziosa attività con la tradizionale dedizione, l’impiegato sia fedele e preciso, il docente sappia educare, l’imprenditore sia saggio con i suoi lavoratori, il politico guardi sempre al bene comune, il prete sia uomo di Dio. Sono consapevole che non basta dire questo, anche perché sono indicazioni talmente generiche sulle quali tutti concorderebbero. Ma intanto lo dico, e mi permetto di aggiungere una modalità che non andrebbe dimenticata: coltiviamo la puntualità in tutto e non il comodo pressapochismo o la facile improvvisazione.
Seconda regola: la preghiera, e cioè la cura della propria anima e della sua relazione con Dio. Oggi la pandemia semina ancora sentimenti diffusi di timore e si guarda con ansia al futuro. La paura si vince non tanto con il coraggio, che non tutti hanno, ma con la fede. Ma che fede abbiamo? E’ dono da chiedere a Dio e poi da custodire e da vivere.
Terza regola: la lettura. Nelle grandi biblioteche monastiche si trascriveva e si leggeva, come momento di cura del proprio spirito. Oggi la cultura vera e costruttiva difetta alquanto, perché domanda fatica. Penso che dovremmo digitare di meno e sfogliare di più, senza fretta, per essere persone competenti ed esperte. Ne abbiamo bisogno.
Quarta regola: la letizia (noli contristari, non essere triste, diceva S. Benedetto). Oggi dovremmo imparare a lamentarci di meno e a gioire maggiormente. La lamentela non costruisce e non si combatte tanto con lo sballo e nella sola allegria, che pure ci deve essere, ma che passa ben presto. In ogni situazione c’è del buono e su quello occorre lavorare, guardando al futuro con operosa speranza e con gioia vera, la quale si vede meno di fuori, perché è nascosta in un cuore in pace.
Quinta regola: il silenzio. Mi sembra che oggi il silenzio sia alquanto carente nella vita di tante persone, mentre non dovrebbe facilmente essere messo in quarantena, perché troppo prezioso. Quanto forte è il silenzio quando non è vuoto e come si sta bene quando vive di sentimenti, di idee e di generosità! La pandemia ce nei ha imposto molto e che cosa abbiamo appreso?
La scuola ha un ruolo essenziale per la vita delle persone e per il futuro della società. Che cosa pensa delle loro riaperture?
Penso poi alla scuola, da quella dell’infanzia alle superiori ed alla Università. Qui non si tratta di un supermercato da mettere in sicurezza, si è detto, nè solo di luogo di informazione e di abilitazione, in quanto essenzialmente ambiente di educazione e di formazione. Perchè andare a scuola? Se lo chiederanno i genitori dei bambini e dei ragazzi? Se lo domanderanno gli adolescenti ed i giovani? E che cosa risponderanno? Ogni persona deve essere sempre aperta ad imparare, per essere responsabile, cioè sentirsi libera. La scuola è fondamentale quando è vissuta bene, anche se poi rimane essenziale l’esperienza ed è la vita che fa maturare, come attestano tante persone anziane, forse poco acculturate ma piene di saggezza. La società ha bisogno della scuola per crescere, per vivere bene. Nella loro riapertura si correrà qualche rischio, ma tutti sono chiamati alla responsabilità, dagli studenti, alle famiglie, al mondo dei docenti e dei non docenti. Questo rischio merita di essere affrontato prudentemente molto di più che in altri settori della vita pubblica.
Come vescovo si sente di dire quello che ha imparato dalla pandemia e che vorrebbe indicare per il futuro?
Che cosa ho imparato dalla dura esperienza della pandemia? Tante cose, come a non lasciare soli gli anziani, ad essere persone umili e non arroganti, a sentirci uniti tra noi, a rispettarci sempre, ecc. Quante volte ci siamo sentiti dire tutto questo, ma poi…. Ho imparato che la felicità non sta nelle grandi esperienze, ma nelle piccole cose di ogni giorno e della vita di casa, da riscoprire, forse, e da valorizzare di più.
Quanto è vero quello che papa Francesco disse a Pentecoste: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. No, non dobbiamo sprecare questa dura lezione. Ho letto su Avvenire qualche tempo fa un titolo, che mi ha intristito: “Stiamo tornando ad essere cattivi ed egoisti?”. No, non deve essere così.
Vorrei che la pandemia, facendoci sentire fragili e vulnerabili, rendesse più forte il bisogno del Signore e ci aiutasse a guardare al futuro con più certa speranza. Con soddisfazione sto vedendo che molte persone, anche giovani, hanno imparato questo e stanno vivendo meglio di prima. Bellissimo!
Mi ha colpito un episodio avvenuto ad Oxford nel convento dei padri domenicani durante la chiusura, nel mese di marzo. Un frate sta per morire di Coronavirus ed allora chiama i confratelli nella sua cameretta. Rinnova pubblicamente le Promesse battesimali e poi chiede ad un confratello di togliere da un armadietto una buona bottiglia di whisky e di offrirne un bicchierino a tutti i presenti. Desiderava un poco di buon umore per la sua partenza verso l’altro mondo. Commentò: “Quante volte ho predicato la risurrezione e la vita futura. Ora è giunto il momento di crederci davvero”. Solo un fatterello di sapore anglosassone? Mi sono chiesto: Ed io? E noi che tutti proclamiamo nel Credo alla Messa domenicale: Credo la vita che verrà!?
Se la pandemia ci avesse insegnato a vivere con maggiore serenità, nonostante le dure prove accolte o subite, avrebbe già fatto un gran bene. Del resto anche la fede chiede gioia e la dona a tutti i credenti. Se abbiamo imparato questo, saremmo diventati veramente “positivi”: la vita non viene meno.
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