Gianni Borsa
Un crocevia pericoloso, ma altrettanto promettente. L’Unione europea, con i suoi 27 Stati aderenti, arriva al dunque in questo scorcio d’estate su vari dossier. Quattro, almeno, quelli più scottanti: Recovery Fund, Brexit, politica estera, Conferenza sul futuro dell’Europa.
Sul primo punto – noto anche come Next Generation Eu – si è espresso pochi giorni fa mediante un messaggio al Forum Ambrosetti il Capo dello Stato Sergio Mattarella, con una lettura illuminante dei mesi che abbiamo vissuto segnati dal Covid-19 e da ciò che ci aspetta nel prossimo futuro. Mattarella si è concentrato in particolare sull’Italia, ma il suo discorso ha mostrato toni e contenuti validi per tutti gli Stati dell’Unione.
La pandemia “ha posto in evidenza – ha affermato il Presidente – la nostra comune vulnerabilità, a fronte di una comune crescente interdipendenza”.
Ebbene, “appare davvero paradossale pensare che, mentre a livello internazionale le società sono sempre più interconnesse per catene di valore e per culture, gli Stati possano essere percorsi da tentazioni in direzione opposta”. No alle chiusure nazionaliste, sì a una cooperazione stretta tra i Paesi europei per superare la crisi economica e sociale che si è generata, anche per mostrare al mondo che l’Europa c’è ed è un player mondiale. Mattarella ha poi specificato: “Il piano per la ripresa (appunto il Recovery Fund, ndr), approvato da tutti i capi di Stato e di Governo nel Consiglio europeo di luglio, rappresenta per quantità di risorse – e per la qualità delle nuove formule adottate – una svolta di portata straordinaria che manifesta un livello di ambizione all’altezza dello storico valore dell’integrazione del continente. Il risultato raggiunto è, al tempo stesso, punto di arrivo e punto di partenza”. Mattarella ha specificato: “Punto di arrivo, in quanto segna il completamento di un disegno che dal mercato unico passa attraverso la moneta comune, l’unione bancaria e giunge alla definizione di uno strumento fiscale comune che, per la prima volta, contiene concreti elementi di stabilizzazione anticiclica delle nostre economie. Punto di partenza, perché, se attraverso gli strumenti messi in campo riusciremo ad assicurare la ripresa che i nostri cittadini si aspettano, avremo compiuto un sicuro e importante passo in avanti nel cammino di rafforzamento della coesione e della progressiva integrazione continentale, per un esercizio condiviso di una sovranità democratica capace di incidere”.
Mattarella traccia una lettura fortemente positiva delle decisioni finora concordate a Bruxelles. Ma, come egli stesso non trascura di segnalare, non va sprecata l’opportunità offerta dal piano europeo di contrasto alla crisi.E qui l’Italia (istituzioni, imprese, università, cittadini…) è attesa a un passo decisivo: predisporre progetti – da finanziare con i 209 miliardi messi a disposizione da Bruxelles – che abbiano l’ambizione di ammodernare il Paese. Non spese correnti, non limitate ed elettoralistiche riduzioni di tasse, ma percorsi definiti e coerenti in alcune precise direzioni: digitalizzazione, transizione verde ed economia sostenibile, infrastrutture (specie al sud), lavoro e coesione sociale, ricerca e formazione. Il tutto con una – per noi inedita – collaborazione pubblico-privato. Il 15 ottobre, prima data utile per far pervenire questi progetti alle istituzioni Ue, è dietro l’angolo.
Ma il Recovery Fund si inscrive, nel complesso, alle sfide imminenti per l’Ue perché può dare l’abbrivio a una “nuova Europa” comunitaria, nella quale, facendo ricorso ai fondamenti del processo di integrazione, si costruisce una coesistenza pacifica, fondata su solidarietà e sussidiarietà, volta al benessere dei cittadini e delle famiglie. L’occasione c’è, non va sprecata.
Il secondo snodo col quale l’Ue è chiamata a fare i conti è il Brexit.
Il Regno Unito ha deciso ormai più di quattro anni fa di uscire dall’Ue. Ma in questo periodo, per l’acclarata incapacità della politica britannica, Londra non ha ancora trovato la quadra. Con una serie di documenti firmati e di parole rimangiate, i governi di Downing Street hanno solo confermato che abbandonare la “casa comune” è svantaggioso e pressoché impossibile laddove si riconosce la strettissima interdipendenza acquisita nei decenni tra le economie e le società dei vari Paesi Ue, isole comprese! In questi giorni si è tenuta una nuova tappa dei negoziati. Il premier inglese Boris Johnson ha fatto un’ulteriore piroetta attorno all’Accordo di recesso firmato dal governo del suo Paese, mettendo fra l’altro in pericolo i rapporti tra le due Irlande e rischiando di ridar vita alla guerra civile sull’Isola verde. I casi sono due: o il Regno Unito esce, come stabilito, il 31 dicembre dall’Ue con un saggio e utile accordo per entrambe le parti (Regno di Elisabetta e Ventisette), oppure se ne va ugualmente per la sua strada senza regole definite, che faranno male ai cittadini e alle imprese inglesi e a quelli europei. Tertium non datur. Sta a Johnson formulare la risposta.
La terza questione che chiama in causa l’Ue è la politica estera.
Libano, Bielorussia, Turchia, Siria, Libia sono solo alcuni dei fronti nei quali si gioca la stabilità euro-mediterranea. Ai quali si potrebbero aggiungere altrettante situazioni che richiedono una politica multipolare che promuova pace, democrazia e sviluppo. Al momento manca la voce dell’Europa; le decisioni per gli affari esteri secondo la regola dell’unanimità in Consiglio Ue non giungeranno mai. Occorre cambiare le regole interne per dare all’Unione una reale capacità di azione su scala globale, che da molte parti del Pianeta, a partire dall’Africa, è auspicata e attesa con urgenza.
Non ultimo, il capitolo della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Annunciata per maggio e rimandata per il coronavirus, potrebbe prendere avvio nel tardo autunno. Ma i governi dei Paesi Ue nicchiano. La Conferenza dovrebbe avere l’ambizione di ridisegnare alcuni aspetti fondamentali della stessa governance europea, fra cui: ruolo e funzioni delle istituzioni di Strasburgo e Bruxelles; rapporto Ue-Stati aderenti; centralità della cittadinanza europea. L’Europa per rispondere con efficacia ai bisogni dei cittadini deve cambiare: non serve “più Europa” (ovvero più regole, più burocrazia) ma un’“Europa più”, più funzionale, concreta, coesa, solida, leggera, vicina alle persone e alle famiglie, aperta al mondo. La Conferenza sul futuro dell’Europa, che potrebbe essere definita in queste settimane, dovrà avere questa ambizione. Perché le mezze risposte non servono.
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