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Maurizio Calipari

Un attimo che sembra durare un’eternità e… viceversa. Chi di noi non ha sperimentato almeno una volta questa apparente discrasia temporale? Apparente, certo, perché il tempo dura… quanto dura! Ma evidentemente varia la nostra percezione (esperienza soggettiva) del suo trascorrere. Basti pensare a come, nelle giornate ricche di avvenimenti, il tempo sembra volar via in un attimo, mentre quando non succede nulla le nostre giornate sembrano non finire mai e le ore lentissime. Del resto, è cosa nota alle leggi della fisica (Einstein insegna…) come lo scorrere del tempo sia una realtà “relativa”.
Ma torniamo alla nostra esperienza soggettiva del tempo. I neuroscienziati, da sempre affascinati da questa estrema variabilità dell’esperienza sensoriale legata al contesto, negli anni hanno prodotto numerosi studi sul tema. L’ultimo è stato descritto di recente sul “Journal of Neuroscience”, ad opera di Masamichi Hayashi e Richard Ivry, dell’Università della California a Berkeley (Usa). I due scienziati hanno scoperto che la variazione nel giudicare quanto dura un evento dipende in modo cruciale dal funzionamento di una specifica area cerebrale, la cosiddetta “circonvoluzione sopramarginale”. Per poter giungere a questa conclusione, Hayashi e Ivry hanno sottoposto 18 volontari ad uno stesso stimolo visivo – si trattava di un cerchio grigio che appariva al centro del monitor di un computer – per un intervallo di tempo determinato, 30 volte di seguito. Una volta adattatisi allo stimolo, ai partecipanti è stato chiesto di osservare un altro stimolo di test, fornendo una valutazione della sua durata. Ebbene, i risultati ottenuti si sono rivelati pienamente coerenti con altri studi analoghi precedenti, mostrando come la procedura sperimentale esercitasse un evidente e sostanziale effetto sulla percezione del tempo. Più specificamente, quanto più era lunga la durata dello stimolo di adattamento, tanto più i partecipanti sottovalutavano la durata di quello di test, mentre la sopravvalutavano se lo stimolo di adattamento durava poco. Complessivamente, dunque, questo studio mostra che la fase di adattamento produce una sorta di “distorsione” nella percezione del tempo.
Ma l’obiettivo fondamentale della ricerca era un altro: individuare gli specifici neuroni responsabili di quella distorsione. A tal fine, nel corso della sperimentazione, i soggetti volontari sono stati sottoposti a scansioni di risonanza magnetica funzionale, per evidenziare le specifiche aree cerebrali che si attivano mentre un soggetto è impegnato in un determinato compito. E’ stato così possibile evidenziare come sia proprio la “circonvoluzione sopramarginale”, nel lobo parietale del cervello, ad essere interessata in questa attività. In particolare, è emerso che la maggiore distorsione nella percezione temporale è legata ad una diminuzione dell’attività di quest’area. Gli studiosi hanno quindi ipotizzato che sia l’esposizione continua allo stimolo di adattamento a causare un’attenuazione dell’attività di specifici neuroni, regolati per rispondere solo per una durata temporale determinata. Ma dato che gli altri neuroni continuano ad attivarsi normalmente, la nostra percezione soggettiva del tempo ne risulta distorta.

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