DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Partiamo da una certezza questa domenica. La tiriamo fuori dalla seconda lettura, tratta dalla prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: «Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da Lui».
Siamo scelti da Dio, non siamo a caso su questa terra, in questa storia, non siamo semplici oggetti di arredamento disegnati da Dio per abbellire il suo mondo …Dio ci ha voluti, Dio continua a desiderarci…Dio ci vuole suoi compagni di viaggio perché ci ama e il nostro essere in questa storia è solo frutto del suo amore!
Dio ci sceglie… e la nostra storia, la nostra impronta, il nostro contributo su questa terra sono unici e affidati personalmente da Dio a ciascuno di noi, nessuno escluso.
Dio ci sceglie…Dio sceglie Ciro, lo leggiamo nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, lo sceglie per riportare il suo popolo dalla terra di esilio, di schiavitù alla terra dei padri. Ciro è l’imperatore di Persia, un re pagano, straniero: Dio lo chiama per nome, lo unge, cioè lo elegge, lo sceglie e le sue gesta saranno non la manifestazione della sua gloria, della sua potenza, ma della grandezza dell’amore di Dio per il suo popolo. Ciro non conosce Dio, ma questo non è necessario ai fini della scelta di Dio…Dio non chiama chi è bravo, devoto, pio, integerrimo nella sua fede…Dio chiama perché ama, Dio chiama perché desidera dirci quanto ci ama, tutti, nessuno escluso.
Noi gli apparteniamo totalmente, come un amato al suo amante. Ed è questo il senso della pagina evangelica di oggi. Farisei ed erodiani vogliono trarre in inganno Gesù domandandogli: «E’ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». È un tranello: rispondendo “sì”, Gesù sarebbe stato accusato di essere asservito ai Romani, rispondendo “no” sarebbe stato considerato un sovversivo, un sobillatore. Gesù risponde: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Gesù non dice che una metà dell’uomo appartiene all’imperatore, cioè al “regno del mondo” e l’altra metà, invece, cioè la metà spirituale, interiore appartiene a Dio.
A Cesare appartiene il tributo, la tassa, a Dio apparteniamo noi stessi, tutto il nostro essere di uomini e di donne nei quali Dio prende dimora. Il cristiano è tenuto ad essere un cittadino leale, che onora il suo dovere verso lo stato ma è chiamato ad operare nel mondo lasciandosi guidare e plasmare dalla mano di Dio, dalla sua Parola, dal suo amore.
E qual è il modo di lasciarci guidare da Lui? Ce lo spiega San Paolo: vivendo una fede operosa, sperimentando la fatica della carità, restando fermi nella speranza che è Cristo.
Una fede operosa è una fede che viene alimentata, una relazione, quella con il Signore, che, ogni giorno, va costruita, va vissuta, va nutrita come costruiamo, viviamo, nutriamo qualsiasi relazione che ci sta a cuore.
Una fede tale chiede di concretizzarsi nella carità, e la carità, l’esercizio dell’amore verso chi ci è accanto, ci fa sperimentare la bellezza di scoprirci fratelli ma anche la fatica di camminare insieme.
Fede e carità che ci chiedono di rimanere saldi nell’unica speranza “certa” della nostra vita che è Cristo, colui che ogni giorno, instancabilmente, continua a sceglierci, chiamarci, amarci.
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