“Nel timore e con cautela, il nostro Paese aspetta e sa di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ricostruire i sistemi portanti dello sviluppo. Sa che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo”. Nel suo 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese il Censis scommette ancora una volta sulla capacità degli italiani di affrontare le “giravolte della storia”, quelle “curve drammatiche e inaspettate che mutano radicalmente i paesaggi del vivere, individuale e collettivo”, com’è sicuramente la pandemia. Guarda al futuro, il Censis, ma a partire da un’analisi tutt’altro che edulcorata. “Il sistema-Italia – questa l’immagine-chiave del Rapporto 2020 – è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti”. I problemi, però, non sono nati né oggi né ieri. “La pandemia – ha sottolineato il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, nel corso della presentazione del Rapporto – ha squarciato il velo sulle nostre fragilità strutturali”. In altre parole, “il virus ha aggredito una società già stanca provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile”.

“Una società indebolita nel suo scheletro complessivo” e che tuttavia – ha osservato Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, “ha avuto la forza di affidare alla responsabilità politica il disegno di una via d’uscita dall’emergenza” ed è “ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita”. Ma bisogna cambiare marcia rispetto a un anno in cui “siamo stati incapaci di visione”. Certo, gli interventi tampone – dalla “distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi” al blocco dei licenziamenti – hanno posto un “argine” alle ricadute sui soggetti più deboli. Ma “il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci”, “un sentiero di bassa valle più che un’alta via”. Così “l’attesa si è trasformata in disorientamento” e “il contagio della paura rischia di mutare in rabbia”.

Per uscire da questa situazione, alla società italiana non basta quel “curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti” con cui è riuscita a reagire in tutte le epoche di crisi. E qui – come ha rilevato il presidente del Cnel, Tiziano Treu – c’è come uno scatto rispetto alle analisi degli anni precedenti. Il “vitalismo sociale”, tradizionale punto di forza della chiave interpretativa del Censis, resta la risorsa fondamentale e indispensabile, ma da solo non è sufficiente. “La realtà odierna – sostiene il Rapporto 2020 – ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non mettere in campo un’azione sistemica della mano pubblica”. Sono quattro i filoni strategici: “Un nuovo schema fiscale”; “un ridisegno del sistema industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti”; “un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali”; una revisione di “ruolo, identità, funzioni e responsabilità dei soggetti del terzo settore”.

Non si tratta di rilanciare un nuovo statalismo, ma di costruire “un progetto collettivo nel quale ciascuna componente del Paese possa riconoscersi”, ha spiegato De Rita. E questo progetto è necessario anche per ricucire un’Italia che “nell’anno della paura nera”, si è riscoperta “spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza”. Il 73,4% degli italiani ha indicato “nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente” e, “tra antichi risentimenti e nuove inquietudini”, persino una “misura indicibile” come la pena di morte è tornata “nella sfera del praticabile”, raccogliendo il 43,7% dei consensi.

Il disagio ha anche profonde radici economico-sociali. Per l’85,8% degli italiani la crisi da Covid ha confermato che “la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no”. Nel secondo trimestre di quest’anno si sono registrati 841 mila occupati in meno e 1.310 mila persone inattive in più rispetto al 2019. Il 17,1% della popolazione dispone di risorse finanziarie per meno di un mese. A pagare il prezzo più alto in termini occupazionali sono stati come sempre giovani e donne, insieme agli immigrati. Non va tuttavia dimenticato che durante questa crisi oltre 14 milioni di italiani hanno beneficiato di sussidi per un totale superiore a 26 miliardi di euro. “E’ come se a un quarto della popolazione italiana – rileva il Rapporto – fossero stati trasferiti quasi 2 mila euro a testa”. Ma la “bonus economy” non è in grado di costruire il futuro, tanto più che chi può tende a risparmiare in modo improduttivo: è cresciuto di 41,6 miliardi in sei mesi il “lago della liquidità precauzionale”. Paure e incertezze economiche che si riflettono anche sul piano demografico: c’è il rischio di avere “una generazione zero figli”, avverte il Censis.

 

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