Sale ogni giorno di più il numero dei contagiati Covid-19 a Gaza: lunedì 2 novembre i numeri ufficiali parlavano di 7002 contagiati; 2549 attivi; 4419 guariti e 34 morti. Ieri, 16 dicembre, i contagiati sono saliti a 30.146; 8.851 gli attivi; 21.075 i guariti e 220 i morti. Si tratta di statistiche aggiornate per difetto e basate su una media di 1500 test giornalieri dal momento che nella Striscia mancano i kit per effettuare i tamponi. “Questa è solo la punta dell’iceberg” affermano preoccupati da Caritas Gerusalemme (CJ), che dal suo principale centro sanitario nel campo profughi di Al Shati, a Gaza City, opera in tutte le zone più povere e svantaggiate della Striscia di Gaza, grazie anche alle sue cliniche mobili. CJ ha attivato un piano di emergenza dal 27 agosto fornendo assistenza sanitaria e interventi di emergenza in tutta Gaza in coordinamento con il Ministero della Salute locale (Moh). Tuttavia, davanti all’aumento dei contagi, il Moh ha chiesto alla Caritas di assisterlo nel monitorare i casi attraverso forme di assistenza domiciliare. Gaza dispone di un fragile sistema sociale e sanitario già da prima della pandemia: le scorte di farmaci essenziali sono minime, l’acqua potabile è contaminata, il sistema elettrico inaffidabile. Senza un trattamento adeguato o un vaccino per Covid-19, le misure preventive come il distanziamento sociale, le pratiche igieniche e il rafforzamento del sistema immunitario diventano di fondamentale importanza nella lotta al contagio. Purtroppo la popolazione, due milioni di persone, vive in profonda povertà, in strutture abitative inadeguate e con un altissimo tasso di disoccupazione. Condizioni che la rendono particolarmente vulnerabile al contagio.

Dalla collaborazione Moh e CJ è nato un progetto che prenderà il via il prossimo 1 gennaio (fino al 30 giugno 2021) e che vedrà la Caritas impegnata in cinque distretti della Striscia “a fornire assistenza sanitaria e assistenza medica di emergenza nelle case di persone positive al Covid-19 e di persone che necessitano di assistenza sanitaria di base. Il progetto – spiegano dalla Caritas – è coordinato dal Ministero della Salute e ha lo scopo di prevenire la diffusione del virus e alleviare la pressione sugli ospedali pubblici che sono sovraffollati e con risorse insufficienti. Le cinque équipe mediche di CJ visiteranno le case, valuteranno la possibilità di tenere isolati i contagiati nelle proprie abitazioni, e nel caso che queste non fossero adatte, indirizzare i pazienti ai centri di quarantena del Moh. Il personale medico di CJ fornirà kit igienici per mantenere le case il più possibile libere dal virus e misurerà anche il livello di ossigeno dei pazienti infetti da Covid e, se ritenuti a rischio, li indirizzerà presso gli ospedali”. Il numero di beneficiari del progetto sarà di 10.800 persone. Il costo stimato è di 250 mila euro che CJ conta di raccogliere grazie a donor e benefattori. Da qui l’appello alla generosità che, dicono dalla Caritas, “sarà molto apprezzata e ci darà anche un po’ di speranza in più per andare avanti con le cure. Diversamente sarà ridotto il numero dei beneficiari del progetto”. Intanto già arrivano le prime donazioni: Cafod, l’agenzia dei vescovi inglesi per gli aiuti umanitari, ha promesso 40mila sterline, circa 45mila euro.

L’impegno della CJ è accompagnato da quello della Chiesa come dimostra la donazione, nel giugno scorso, fatta da Papa Francesco, attraverso la Congregazione per le Chiese orientali, di 2.500 test Covid-19 al Moh. La consegna dei kit, coordinata dalla Delegazione Apostolica, dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, è stata effettuata dalla stessa Caritas Gerusalemme e da padre Gabriel Romanelli, parroco latino della Sacra Famiglia a Gaza. I kit rientravano negli stanziamenti del nuovo Fondo di Emergenza per le Chiese Orientali istituito dal Vaticano per l’emergenza coronavirus.

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