da Vatican News – Benedetta Capelli –

Appare il sorriso sul volto del Papa appena intravede nel cortile della Cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”, nel quartiere Karrada di Baghdad, un piccolo gruppo di disabili che lo attende. Una ghirlanda di fiori con i colori del Vaticano avvolge il suo collo, alcune sciarpe bianche lo arricchiscono e poi in italiano i presenti gli regalano parole di benvenuto e di affetto sincero alle quali Francesco risponde con una benedizione.

Entrare nella Cattedrale è come accarezzare una ferita che si è allievata solo con l’amore sanante per il Padre, con il tempo trascorso, con il riconoscere che il sacrificio di 48 vite non è stato vano. Qui Francesco arriva attraversando la navata, ricostruita dopo il grave attentato del 31 ottobre 2010, e che richiama la barca che portava Gesù e i discepoli nella tempesta. Quella stessa barca sulla quale il 27 marzo 2020, in piena pandemia, il Papa invitava a salire perché “chiamati a remare insieme”, perché “tutti fragili e disorientati”.  Unità è una delle chiavi del discorso che il Papa pronuncia nell’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi ed i catechisti. Le sue parole sono carezza e sprone per la Chiesa irachena, “piccola – dice – come un granello di senape” ma ricca e composita come “un tappeto”, immagine famigliare per chi lo ascolta, con i fili diversi e preziosi tessuti con pazienza e cura.

Con “affetto paterno” Francesco rivolge il suo primo pensiero a chi ha perso la vita 10 anni fa quando un commando del sedicente Stato Islamico, composto da 5 uomini, irrompe mentre si celebra la Messa. A morire i due sacerdoti presenti in quel momento, padre Thaer Abdal e padre Wassim Kas Boutros, e altre 46 persone. Una furia che non risparmia nemmeno i bambini come Adam che aveva solo tre anni, un piccolo di 3 mesi ed un altro ancora nel grembo della mamma, rimasta uccisa nell’attentato. A loro, la cui causa di beatificazione è in corso, è dedicato un memoriale nella Cattedrale mentre i due sacerdoti riposano nella cripta della Chiesa. Il Papa ricorda il tributo di sangue delle vittime che hanno pagato con la vita la “loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa”.

Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano infatti è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese.

L’emergenza sanitaria tocca anche questa parte di mondo e ha aggravato, spiega Francesco, “i bisogni del popolo di Dio”. Ma a questo è necessario rispondere con maggior “zelo apostolico” per contrastare “il virus dello scoraggiamento”, sempre più diffuso, che va contrastato – dice – con la testimonianza di “vite trasformate dalla gioia del Vangelo”, dalla fede “contagiosa” che può cambiare il mondo.

Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace contro questo brutto virus: è la speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato. Con questo vaccino possiamo andare avanti con energia sempre nuova, per condividere la gioia del Vangelo, come discepoli missionari e segni viventi della presenza del Regno di Dio, Regno di santità, di giustizia e di pace.

Il Pontefice si sofferma poi sulle difficoltà che la comunità cattolica in Iraq ha vissuto negli ultimi decenni come “gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo”, ma ne evidenzia anche l’impegno sul fronte educativo e caritativo.

Vi ringrazio, fratelli vescovi e sacerdoti, di essere rimasti vicini al vostro popolo, sostenendolo, sforzandovi di soddisfare i bisogni della gente e aiutando ciascuno a fare la sua parte al servizio del bene comune.

E’ il tesoro di essere comunità di fratelli e sorelle, chiamati alla “comunione universale” pur nella diversità di tante chiese presenti in Iraq, “ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale”, che Francesco descrive come un tappeto composto da fili colorati, tessuto con pazienza e cura da Dio stesso e che attesta “la nostra fraternità – sottolinea il Papa – ma rimanda anche alla sua fonte”.

Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno.

“A volte – aggiunge il Papa – possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità”. Ostacoli che arrivano dall’essere peccatori ma che con il perdono, con il dialogo fraterno si possono superare. Rivolgendosi ai vescovi, Francesco offre una parola chiave – “vicinanza” – soprattutto nei confronti dei sacerdoti, da accompagnare come “padri” con la preghiera e la pazienza, non come “amministratori o manager”. L’invito del Pontefice a quest’ultimi, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti è di rinnovare l’“eccomi” al Signore, di uscire a cercare il gregge per non lasciare indietro nessuno. “Quando serviamo il prossimo con dedizione, come voi fate, in spirito di compassione, umiltà, gentilezza, con amore, stiamo – dice il Papa – realmente servendo Gesù, come Lui stesso ci ha detto. E servendo Gesù negli altri, scopriamo la vera gioia”. Siate pastori, servitori del popolo e non funzionari di stato, chierici di stato. Sempre nel popolo di Dio, mai staccati come se foste una classe privilegiata. Non rinnegate questa “stirpe” nobile che è il santo popolo di Dio.

Prima di concludere il suo discorso, Francesco ritorna al messaggio che le vittime della Cattedrale di “Nostra Signora della Salvezza” hanno offerto al mondo. La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi. E voglio ricordare tutte le vittime di violenze e persecuzioni, appartenenti a qualsiasi comunità religiosa. Ricorda che ad Ur incontrerà i Leader delle tradizioni religiose presenti in Iraq:

Per proclamare ancora una volta la nostra convinzione che la religione deve servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio. Questa sera voglio ringraziarvi per il vostro impegno di essere operatori di pace, all’interno delle vostre comunità e con i credenti di altre tradizioni religiose, spargendo semi di riconciliazione e di convivenza fraterna che possono portare a una rinascita di speranza per tutti.

Speranza è l’altro accento forte del discorso del Papa e che si lega ai giovani “portatori di promessa e di speranza”, “ricchezza incalcolabile per l’avvenire” dell’Iraq. Un tesoro da accudire, con i sogni da annaffiare e con un cammino da accompagnare. Benché giovani, infatti, la loro pazienza è già stata messa duramente alla prova dai conflitti di questi anni. Ma ricordiamoci, loro – insieme agli anziani – sono la punta di diamante del Paese, i frutti più saporiti dell’albero: sta a noi coltivarli nel bene e irrigarli di speranza.

Francesco conclude la sua riflessione profonda e chiara indicando la strada: farsi “luce che risplende in Iraq”, per annunciare “la grandezza del Signore”. Una testimonianza forgiata dalle avversità e “rafforzata dal sangue dei martiri”. Dopo lo scambio dei doni – un ostensorio, un calice, una stola che viene da Qaraqosh – la preghiera del Padre Nostro, ognuno nella propria lingua. Prima di lasciare la Cattedrale, Papa Francesco ha firmato il Libro d’Onore: Penitente e pellegrino di fede e di pace in Iraq, invoco da Dio per questo popolo, con l’intercessione della Vergine Maria, la forza di ricostruire insieme il Paese nella fraternità.

Il Patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignazio Youssef III Younan, prima del discorso del Papa, lo ha ringraziato definendolo “messaggero di pace e fraternità”, poi ha ricordato i 48 “ cristiani, bambini e adulti, donne e uomini, fra di loro due giovani sacerdoti, sono stati massacrati dai terroristi”, 10 anni fa, che “hanno mescolato il loro sangue con quello dell’Agnello, per testimoniare ai loro fratelli oppressi, uccisi o sradicati, in Iraq e nel Vicino-Oriente, che Gesù stesso, Dio Salvatore, continuerà come ha promesso, a vivere in loro”.  Poi la richiesta a Francesco: “imploriamo Sua Santità di accelerare la beatificazione di questi nostri martiri di cui la causa è già in processo, per esortare noi tutti a vivere la nostra chiamata sul loro esempio”.

“Benvenuto nella terra di Abramo”: è stato il saluto del cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, che ha ringraziato il Papa per la sua “visita coraggiosa” che incoraggia a consolidare le fraterne relazioni con i musulmani. Ha poi ricordato che i cristiani sono “una minoranza viva” che ha conservato la fede nonostante gli attentati, l’abbandono di 120 mila cristiani dalla piana di Ninive e da Mossul a causa dell’Isis. “Questa vostra visita paterna – ha continuato Sako – ci dà la forza di superare le avversità, ci rassicura che non siamo dimenticati”, spinge a lavorare per “costruire il nostro Paese su regole solide e a stabilire i valori della cittadinanza e della convivenza sulla base di una fraternità rispettosa della diversità e del pluralismo”.

 

 

 

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