DIOCESI – Un Giovedì Santo un po’ diverso dal solito quello celebrato in Cattedrale dal Vescovo Carlo Bresciani. Infatti ieri mattina non è stata celebrata la Messa Crismale (rimandata a data da definire), mentre la Messa In Coena Domini, che tradizionalmente si celebra dopo cena, è stata anticipata alle 18.30. La Santa Messa, presieduta dal Vescovo Carlo, è stata concelebrata dal Vescovo Emerito Gervasio Gestori, dal parroco della Cattedrale don Patrizio Spina, dai parroci emeriti don Romualdo Scarponi e don Luciano Paci, e da don Gianni Anelli. Hanno assistito al sacro rito col quale si è aperto il Triduo Pasquale i diaconi permanenti Walter Gandolfi e Pietro Mazzocchi. I celebranti sono entrati in chiesa mentre il Coro della Cattedrale diretto dal Maestro Massimo Malavolta ha eseguito il brano “Inni e canti”. Visto il clima di festa e di gioia per il grande dono che Cristo ha fatto di sé, il Coro ha anche eseguito – come prevede la liturgia – il canto del “Gloria”. A causa della situazione sanitaria è stato invece omesso il tradizionale gesto della lavanda dei piedi. Riportiamo di seguito il testo dell’omelia del Vescovo Carlo tutta incentrata sul grande sacramento dell’Eucaristia.

«Siamo in un certo senso come gli apostoli a cena con il Signore Gesù. È la sua ultima cena in questo mondo e lui lo sa, non lo sanno però gli apostoli. Una cena che Gesù vuole intensamente consumare con loro. Dice infatti: “Ho desiderato intensamente…”. Si tratta di un desiderio di amicizia. Infatti altrove dice: “Voi siete miei amici”. Si fa sempre volentieri una cena con gli amici e questo dice l’atteggiamento di Gesù verso i suoi discepoli. Ma questa non è una semplice cena tra amici, proprio perché Gesù sa che è l’ultima.

Il suo desiderio intenso è riferito anche al fatto che vuole che l’ultima sua cena sia con amici intimi – solo i 12 –  e questo perché ha qualcosa da dire e da lasciare loro di molto importante. Per questo, quanto Gesù ha detto e fatto in questa occasione è fondamentale anche per noi, perché parlando a loro aveva davanti il futuro, il dopo di lui, e intendeva lasciare anche a noi indicazioni importanti e un dono molto prezioso. Noi, che in un certo senso siamo a cena con lui come gli apostoli, non possiamo che prendere l’atteggiamento dell’ascolto di quanto ha da dire e pronti ad accogliere il dono che vuol fare. Possiamo ben a ragione pensare che quel “ho desiderato tanto…” sia rivolto anche a noi. Anche noi siamo oggetto del desiderio di Gesù, anche noi siamo invitati a cena da lui. Anche per noi c’è la sua sorpresa: parole e gesti che toccano il cuore e un dono tanto inaspettato quanto prezioso oltre ogni dire.

Vorrei con voi fermarmi sul dono: “Questo è il mio corpo dato per voi… questo è il mio sangue versato per voi… fate questo in memoria di me”. Sono parole che abbiamo sentito tante volte, ogni volta che partecipiamo alla santa messa; parole per noi tanto usuali che rischiano di scivolarci via. Rischiamo di darle per scontate nel loro valore e nel loro significato. Eppure indicano e racchiudono il tesoro più importante che Gesù ha lasciato alla Chiesa (a noi) e che la Chiesa custodisce e protegge con grande cura. Come ben sappiamo è il tesoro dell’Eucaristia.

Infatti, il Giovedì Santo noi ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia: il corpo e il sangue di Cristo, la reale sua presenza di vivente tra di noi sotto le specie del pane e del vino perché Gesù “prese il pane… prese il calice del vino…” e con la potenza della sua parola li ha trasformati in sacramento della sua presenza, nel suo vero corpo e nel suo vero sangue nascosti sotto queste specie materiali che chiamiamo Eucaristia. Tra poco, al termine di questa santa messa, porteremo solennemente questa eucaristia all’altare laterale e ci fermeremo in adorazione della passione di Gesù nella quale il sangue sarà realmente versato per amore nostro.

L’Eucaristia, quindi, è il grande dono che Gesù ci ha lasciato. Che ne stiamo facendo di questo prezioso dono? Non posso che lodare e accogliere con vera consolazione il fatto che sia celebrata nelle nostre parrocchie con la dignità e la partecipazione che compete alla divina liturgia; che tanti fedeli vi si accostino a riceverla con vera devozione e con animo preparato a seguire gli insegnamenti di Gesù; che per tanti fedeli sia oggetto di adorazione contemplante l’amore di Gesù che giunge al sacrificio della fedeltà a Dio padre e a noi. Sono molto grato a tutti i sacerdoti che garantiscono la celebrazione eucaristica e l’amministrazione di tutti gli altri sacramenti in ogni parrocchia della nostra diocesi. È confortante sapere che i ministri straordinari della comunione si preoccupino di farla giungere ai malati che non possono essere presenti a celebrare con la comunità e hanno bisogno del conforto di Colui che porta la croce per amore e aiuti loro a portare la croce della loro malattia.

Ma è altrettanto vero che non posso che pormi anche tante altre domande che più che consolazione inducono preoccupazione, sia per la mancanza di partecipazione alla Santa Messa di tanti che si dicono cristiani (dove sono i bambini, i giovani e i giovani adulti?), sia per alcune modalità con le quali ci si accosta alla comunione e che poco sembrano ad avere a che fare con la comunione con Dio e con la Chiesa. Nel passato, forse, eravamo anche troppo rigidi nel limitare sia le celebrazioni eucaristiche, sia la ricezione della comunione per salvare l’importanza di un incontro con Gesù, sia la sacralità dell’atto liturgico. Oggi celebriamo l’Eucaristia anche troppo frequentemente, non solo per la necessità e per il bene della comunità dei fedeli, ma per comodità dei fedeli e, talora, la si vorrebbe addirittura su ordinazione per interessi particolari.

Nel passato si doveva insistere perché non si temesse di accostarsi alla comunione. Per un eccessivo ed errato senso di rispetto, non ci si comunicava quasi mai o pochissimo. Ora, senza voler giudicare la coscienza di nessuno (cosa che spetta solo a Dio), mi domando se il “ricevere l’ostia” (espressione non di rado usata) quando si partecipa a qualche liturgia in occasioni particolari come funerali, matrimoni ecc. non stia diventando un semplice gesto di cortesia sociale, indipendentemente addirittura dalla vita di fede che precede e che segue, vita di fede talora  inesistente o totalmente in contrasto con gli insegnamenti di Gesù. Che ne è del corpo sacramentale di Cristo? Gesù ci sta chiedendo: “Che ne state facendo del mio corpo e del mio sangue?”.

Potremmo farci anche tante altre domande. Le lascio alla vostra meditazione. Mi rendo conto che sono domande gravi e difficili, ma che dovremmo farci tutti, carissimi, in modo particolare in questo giorno, in questa sera, in cui facciamo memoria dell’istituzione di questo grande sacramento che è stato affidato a noi.

Carissimi, viviamo le giornate del triduo che questa sera iniziamo, e che ci porta alla Pasqua, quasi partecipassimo presenti di persona alla vicenda di Gesù. Lasciamo che nei suoi confronti emergano i sentimenti più profondi del nostro animo e lasciamo che il suo sangue lavi le nostre freddezze, le nostre insensibilità, le nostre superficialità e incoerenze, i nostri egoismi, la nostra incapacità di amare perché incapaci di portare la croce che ogni amore comporta. Mettiamoci con gratitudine in ginocchio davanti all’Eucaristia, adoriamo l’intensità dell’amore di Gesù che vi è racchiuso e chiediamo che una sola goccia del suo sangue ci purifichi e ci salvi».

Al termine della liturgia il Vescovo Carlo insieme agli altri membri del clero presenti si è portato all’Altare della Reposizione dove il Corpo del Signore è stato adorato dai fedeli. Il Triduo proseguirà oggi alle ore 15.30 con la Celebrazione della Passione del Signore.

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