“Nel decimo anniversario della nostra indipendenza, con il dolore nel cuore, abbiamo poco da festeggiare. È veramente un tempo e un’esperienza difficile per noi, popolo del Sud Sudan”. È un passo del messaggio che il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan ha preparato in vista del 9 luglio, sottoscritto dai leader delle Chiese, tra cui l’arcivescovo di Juba Stephen Ameyu Martin. Se c’era euforia nel 2011, quando nasceva “la nazione più nuova del mondo”, si legge nel testo, quella “gioia ed euforia hanno avuto vita breve e in due anni la nazione è sprofondata in conflitti violenti che hanno devastato tutti gli aspetti della vita del popolo” e “hanno reso i nostri primi dieci anni di indipendenza, un decennio sprecato”. L’Accordo del 2018, si legge ancora, “ha avuto una implementazione lenta e inconsistente” e mostra “una mancanza di volontà politica”. Eppure, con sforzi e responsabilità collettive, la “speranza e l’ottimismo” mostrati dieci anni fa, “possono ancora essere riaccesi”. Per questo il Consiglio dichiara il “secondo decennio di indipendenza, periodo di un nuovo inizio di pace, giustizia, libertà, perdono, riconciliazione e prosperità per tutto il nostro popolo”. Perché non sia “un altro decennio perso”, ma una opportunità per fermare “l’auto-sabotaggio del nostro futuro collettivo”, riflettendo su ciò che è stato sbagliato, imparando dalle esperienze e “assumendo la responsabilità collettiva di questa situazione difficile”.

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