Rubrica “Pausa caffè” – Sorseggiando il caffè nei pomeriggi d’estate, accanto ad un bicchiere d’acqua fresca, ci torna alla memoria l’infanzia, le passeggiate, soprattutto i giochi in strada, ora impossibili per i bambini di oggi. Una grande curiosità hanno sempre costituito le “casette dei pescatori”. In alcuni quartieri in particolare, a Grottammare nella zona stazione a nord e nella zona più a sud a pettine intorno a Via XX Settembre dove c’erano i “funai” ed anche naturalmente a San Benedetto del Tronto, zona centro, vi sono ancora zone rimaste come incapsulate nel tempo.
Una volta nelle zone costiere vi erano veri e propri quartieri dedicati alla gente che lavorava in mare, a vario titolo. Abbiamo accennato ai funai, che in corridoi strettissimi e lunghissimi, in paese, arrotolavano le funi necessarie per le navi, barche e pescherecci, in canapa, incitandosi con grida. Un altro mestiere correlato era quello delle “retare”, ossia donne che sapevano realizzare o riparare le reti da pesca. Quello che affascinava i bambini era che queste ultime sembravano piccole, ma si potevano allargare enormemente, diventando estremamente capienti. Per i bambini sembravano una magia vietata da toccare. Le donne sapientemente le confezionavano con tanti nodi in modo misterioso trasformando dei grossi rocchi di filo in “ragnatele” magiche. Ma venendo al dunque, abbiamo parlato delle casette abitate dalla gente di mare, oggi quasi scomparse. Erano case a piano terra che si affacciavano direttamente sul marciapiede. Gli ambienti erano scuri, vigilati da donne anch’esse vestite di scuro e spesso con fazzoletti in testa. A destra c’era la cucina, a sinistra ( o viceversa) una sorte di saletta con i mobili buoni. Una scalinata ripidissima si parava in fronte a chi entrava nella tipica casetta dei pescatori..ed era segreto e vietatissimo poter salire, tuttavia nelle nostre scorribande innocenti di bambine è capitato, salita la scalinata vi erano le camere. Una a destra e una a sinistra : in mezzo ( non in tutte le case !) il bagnetto, solitamente sacrificatissimo, ricavato da un sottoscala, con la classica finestrina rotonda e arredato con water e lavandino. Non in tutti c’era la vasca, a volte era in alluminio con i piedi leonini e piccola con un sedile, molto più spesso c’era il “baccile”, una sorta di secchione gigante per lavarsi .. In fondo al letto matrimoniale, altissimo e stretto come un catafalco, vi era la cassapanca detta “cassone” che conteneva il corredo da sposa. Austeri gli arredi: comodini col piano in marmo stretti e lunghi che nascondevano i “pitali” ( vasi da notte)..infatti come accennavamo non tutte le case avevano questa misteriosa stanza sconosciuta che era il ..bagno!
Le nonne erano gelose delle camere ed era un privilegio assoluto riuscire a sbirciare.. quando ad entrarci, un’occasione unica.
Finiva qui la casa o meglio, no: una ulteriore rampa di scalette strettissime questa volta più economiche in legno conduceva ancora più in alto: in soffitta ( solaio) ossia nel sottotetto dove, in alcuni casi di necessità era stata allestita una ulteriore camera per qualche figlio o nipote. Ridiscendiamo le scale; Scendiamo in cucina: c’era sempre il caminetto e quasi sempre una porta-finestra che conduceva aprendosi ad uno spazio segreto: un giardinetto interno, luogo di giochi riservato a noi bambine. In cucina non mancava nemmeno la stufa che con il suo lungo tubo nero, rincorreva i soffitti delle stanze come un serpentone che nelle fredde serate d’inverno portava tepore negli ambienti a piano terra. La cucina scura, con le “pigne” cioè pentole appese era un ambiente non molto luminoso, che però profumava spesso di cibo appetitoso. Ai bambini veniva offerta la merenda costituita d’inverno da “pane, burro e zucchero”, a primavera e autunno “Pane con l’olio” e d’estate c’era la variante dell’albicocca colta in giardino spalmata sulla solita fetta di pane oppure del pomodoro spaccato e condito con olio e basilico. Nei giorni di festa ai bimbi venivano offerte le “frittejjette”, cioè frittelle con uvetta e zucchero oppure verdurine fritte con alici e allora per i bimbi era la felicità senza “se” e senza “ma”! L’ambiente della saletta era affascinante, perché vi erano i cimeli “riportati” dai “naviganti”: enormi conchiglie che portate all’orecchio come dicevano i vecchi, facevano riecheggiare il rombo del mare di Paesi bellissimi e lontani.. poi oggetti strani acquistati per pochi spicci nei mercatini di chissà dove: un ventaglio variopinto, una maschera africana che incuteva terrore e profumava di legnami speziati, una bambolina cinese, un basso sgabello in pelle da Tuareg. Ai bambini gli anziani raccontavano una storia per ogni oggetto, descrivendo favole fantasiose degne di Marco Polo di viaggiatori lontani. Fuori dal portoncino c’era davanti a quasi tutte le case dei pescatori l’anfora romana, ritrovata in fondo al mare impigliata nelle reti a strascico e altri oggetti corrosi dal mare rinvenuti fortuitamente impigliati da vari relitti di storie di pirati e navi sottomarine. Pesci, squali, balene erano i fantasiosi protagonisti di racconti mirabolanti per bambini e quando scendeva la sera, veniva acceso sempre il lumino per il caro che “stava a mare” intendendo che vi ..navigava oppure che ..vi aveva navigato perdendo la vita e ormai ne ..costituiva un elemento.. tra pesci, alghe e conchiglie.
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A sabato!
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