RUBRICA “Pausa Caffè” Nel bel mezzo dell’estate, la massaia in campagna aveva molto da fare. Doveva preparare le conserve. La lavorazione era complessa e durava circa una settimana in modo intensivo. Chi ha avuto la fortuna di visitare l’aia di una casa colonica in quel periodo, sarà rimasto colpito dal profumo pungente del fuoco all’aperto, dall’acre odore della legna bruciata, dalla salsa di pomodoro, dal basilico.. Non solo salsa di pomodoro ma anche confetturemelanzane e zucchine sottolio e sottaceto.

Erano le provviste per il lungo inverno, i pranzi, le cene, le merende, erano la formichina che mette da parte il sovrappiù nel momento buono ( la bella stagione) per i momenti bui e oscuri, piovosi, in un’ epoca in cui non esistevano i supermercati ne’ i prodotti di serra che sembrano abbiano annullato le stagioni, cosicchè trovi una zucchina a Natale e un cocomero (quasi) a novembre, come pure insipide melanzane tutto l’anno e peperoni eternamente presenti sugli scaffali dei supermercati….

Torniamo a noi: Il vicinato collaborava e si preparava tutto nell’aia più grande : si facevano centinaia di “bottiglie” cioè di salsa di pomodoro imbottigliato e poi si “spartivano” tra le famiglie.

Nell’aria si spargeva il profumo intenso dei peperoni arrostiti, che anche dovevano essere messi sott’olio, insieme alle melanzane e in alcuni casi alle zucchine, tagliate a striscioline. Per quanto riguarda i pomodori, c’erano due tipi di salse : quella a pezzetti, pezzettoni e la passata. Inizialmente veniva usato l’utensile a manovella per liquefare i pomodori e privarli delle indigeste pelli, ma poi alcune famiglie più benestanti si organizzarono con uno strumento elettrico, provvisto da una sorta di imbuto dove si mettevano i pomodori e un “rubinetto” di uscita. Nelle bottiglie veniva infilato anche un rametto di basilico. L’ “arredamento” tipico di queste giornate ( di solito agostane) era costituito da bacinelle, catini, oggettistica varia mentre le “vergare” ( massaie capofamiglia) indossavano grembiuloni e fazzoletti in testa. Le braccia lavoravano e le maniche erano “corciate” ( tirate su). L’allegria regnava sovrana, i bambini si divertivano  a contare le lunghe file di bottiglie verdi oppure a lavarle. C’era anche l’attrezzo che attappava le bottiglie tirando giù la leva..insomma era una festa e soprattutto una festa utile. Le comari avevano portato vino e dolci fatti in casa e poi c’era tanta frutta, ma soprattutto risate, risate semplici.  Si trattava ( e si tratta, perché molti lo praticano ancora) di un rito conviviale. Al termine dei giorni di lavoro, ciascuno tornava a casa col suo “rosso bottino” e riempiva nuovamente i garage di bottiglie verdi sugli scaffali, che solo a guardarle rassicuravano, perché non si sarebbe restati senza sugo e quindi, senza cibo nel freddo inverno, pertanto l’atavica paura della mancanza di cibo sarebbe svanita.

Spesso queste giornate terminavano con una cena tutti assieme, senz’altro nell’ultimo giorno, unico orario che permetteva un po’ di frescura nell’estate agostana. Come al solito i cibi erano verdure arrostite e profumate di legna, pollo arrosto, tagliatelle fatte in casa e la mitica “ zuppa inglese”, il dolce alla crema e alchermes realizzato con le uova fresche. Ciascuno portava qualcosa così la tavola si arricchiva e c’erano tanti contorni, dove il “re” delle mense estive, ossia il pomodoro, questa volta da insalata, la faceva da padrone spaccato e condito con olio evo, sale, basilico e origano. Si guardava scendere il tramonto dietro le colline e arrossarsi il cielo, alla fine qualcuno tirava fuori un “ Du Bott” ossia l’organetto, due cembali e i più giovani iniziavano  a danzare. Erano tradizioni semplici, ma allegre, erano ritmi scanditi dal calendario agricolo. Oggi resta in vita la tradizione delle “bottiglie di pomodoro” ma i pranzi e le feste non sono più così diffusi. Una cosa è certa: chi ha provato la salsa fatta in casa detesta quella del supermercato, che spesso è semi-insapore. Ma la vita frenetica moderna, che ci porta sempre a correre, non consente più questi gesti senza tempo di preparazione, non fa niente se ci rimette la salute, bisogna correre, correre.. Ma una cosa positiva la dobbiamo al lockdown : ci ha obbligatoriamente insegnato a fermarci, a dare il giusto valore al tempo, così guardando tutorial su internet, abbiamo imparato a impastare, conservare riscoprendo tradizioni del passato. Non è raro vedere donne moderne che si dedicano a preparazioni casalinghe viste e riscoperte su internet, nei social, ma il senso del rito collettivo non c’è. Forse ancora una volta “ in medio stat virtus”, cioè la cosa migliore ( virtù) sta nel mezzo, cioè convivere con la modernità non dimenticando il passato e cercando di alzare il livello della qualità della vita, dei sapori e dei saperi.

Chi volesse interagire con l’autrice può scrivere a : susanna.faviani@gmail.com oppure scrivere o fare domande al numero wapp di redazione: 371 1715065. Al prossimo sabato con un’altra meravigliosa avventura di “Pausa Caffè” !

 

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